LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
QUANDO A BRINDISI
SI PESCAVANO LE ANGUILLE
I caratteristici pesci dal corpo serpentiforme
erano molto numerosi in tutti i corsi d'acqua che sfociavano
nel porto. Nel medioevo allietavano le mense ecclesiastiche
e profane
Brindisi è
stata apprezzata sin dall'antichità non solo
per la sua naturale insenatura portuale, ma anche per
la ricca varietà di pescato, sempre di ottima
qualità. Nel II secolo a.C. l'eccellenza del
sarago brindisino è stata declamata dallo scrittore
romano Quinto Ennio, sia per il sapore che per
le qualità delle sue carni: "Brundisii
sargus bonus est; hunc magnus si erit, sume"
(buono è il sarago di Brindisi, se lo trovi grande,
compralo). Nel secolo successivo fu Plinio il Vecchio
a dedicare alle ostriche alcune delle sue narrazioni,
indicando le acque del porto di Brindisi come luogo
adatto al loro allevamento.
Nel medioevo sono state le anguille, molto abbondati
dei canali che si riversano nelle acque del nostro bellissimo
bacino naturale, a diventare motivo di un secolare contenzioso
tra l'arcivescovo di Brindisi e i monaci benedettini
dell'abbazia dell'isola di Sant'Andrea.
Anguille (dal web)
Nel passato si è
creduto che questi caratteristici pesci dal corpo serpentiforme
si generassero spontaneamente nel fango dei fondali
di canali e acquitrini, lo sosteneva perfino Aristotele,
solo alla fine dell'Ottocento alcuni studiosi sono riusciti
a scoprire alcune delle verità sulla specie marina,
anche se ancora oggi tanti dettagli del pesce teleosteo
rimangono ignoti. È diffuso principalmente nelle
acque calme dolci ma si trova anche in quelle salmastre
in tutto il Mediterraneo. La sua peculiarità
è l'assenza di organi sessuali fin quasi alla
fine della vita, quando decide di migrare e accoppiarsi,
prima di morire. Sigmund Freud appena diciannovenne,
incuriosito da questo mistero, riuscì a dissezionare
oltre quattrocento esemplari appositamente catturati
a Trieste, dove studiava, ma in nessuno di essi trovò
organi riproduttivi. Solo nei primi anni del Novecento
un biologo danese riuscì a capirne qualcosa:
la specie, infatti, impiega tra i quindici e i vent'anni
a maturare sessualmente. Un'altra caratteristica di
questi pesci è il loro lunghissimo viaggio (oltre
diecimila chilometri) per attraversare l'oceano e raggiungere
il Mar dei Sargassi (la zona compresa fra le Grandi
Antille e le Azzorre), riconosciuto dai naturalisti
come il luogo di nascita di tutte le anguille del mondo,
anche di quelle che si trovano nei canali e fiumi italiani.
I nuovi esemplari poi sono capaci di giungere nei luoghi
d'origine dei loro genitori, una migrazione notturna
guidata dall'assenza di luna e anche dalla loro capacità
di uscire dall'acqua e strisciare sulla terraferma,
in condizioni di forte umidità.
Brindisi. Canale Patri (Canalicchio)
L'esemplare sessualmente
maturo del maschio, detto buratello, staziona di solito
nelle acque salmastre, mentre i capitoni, termine gastronomico
delle femmine adulte e di grande taglia, riescono a
discendere la corrente dei fiumi per deporre le uova.
Esso rappresentano un piatto tipico, soprattutto natalizio,
molto apprezzato sulle tavole di tante zone d'Italia.
Sino agli anni Sessanta la 'ngidda (l'Anguilla
europea, Anguilla anguilla) si trovava numerosa
anche nei corsi d'acqua che sfociavano nel porto della
nostra città. C'è chi ricorda la presenza
di questi animali nel Canalicchio (il Canale Patri),
i più anziani ricordano di averle pescate in
abbondanza anche nel Seno di Levante, utilizzando "lu
cuénzu" (palamito), c'è chi le
incontrava, sino a non più di una ventina di
anni fa, anche nel porto interno, da catturare sempre
dopo il calar della sera.
In uno studio del
1991, il prof. Giacomo Carito racconta che lo
sfruttamento commerciale delle anguille portò
a una controversia tra il vescovo di Brindisi e i frati
che erano nel complesso abbaziale dedicato all'apostolo
sant'Andrea, dove successivamente venne realizzato il
Forte e il Castello Alfonsino. Nel 1059 ai benedettini
era stata donato, in concessione enfiteutica, lo sfruttamento
della metà dell'area attinente i due grandi canali
Delta e Luciana, gli attuali Fiume Grande e Fiume Piccolo.
L'altra parte veniva gestita dalla Mensa arcivescovile,
mentre la proprietà rimaneva di pertinenza diretta
dell'arcivescovo. Le principali attività praticate
in questa zona erano la coltivazione del lino e la pesca
delle anguille, di cui i due grandi canali erano ricchi.
Quando i pesci adulti sentivano l'istinto di migrare
verso il mare per riprodursi, gli addetti posizionavano
alcuni sbarramenti in prossimità della foce e
all'interno dei canali, qui le acque placide diventavano
colme di anguille volteggianti, facili da catturare.
Entrambe le attività
erano particolarmente remunerative, perciò non
fu difficile aprire aspre contese e animate discussioni
in merito alla corretta ripartizione degli utili d'esercizio.
Oltretutto i monaci dell'abbazia, da sempre autonomi
dall'autorità episcopale, nel tempo hanno visto
accrescere la loro potenza economica, anche grazie alle
tante donazioni ricevute. Ciò produsse prosperità
ma fu altresì ragione della loro rovina e umiliazione:
le tante ricchezze accumulate nei secoli "attirarono
sul monastero di Sant'Andrea interessi e attenzioni
che portarono ad una più rigida soggezione all'arcivescovo",
con la sottoscrizione di un apposito atto di sottomissione
stilato nel periodo federiciano.
Le anguille intanto
continuarono ad allietare le mense sacre e profane.
"Esse appaiono, per esempio, nell'elenco delle
vivande che l'arcivescovo di Brindisi è tenuto
a garantire ai canonici della sua cattedrale",
spiega ancora lo studioso e presidente della sezione
locale della Società di Storia Patria per la
Puglia. I pesci appartenenti alla famiglia Anguillidae
"venivano offerti in alternativa alle 'auratelle',
le piccole orate, e dovevano essere almeno quattro.
Si servivano di venerdì e di solito seguivano
un primo piatto a base di legumi". Erano inoltre
presenti negli elenchi relativi agli acquisti effettuati
dai conventi per le proprie mense, compresa l'abbazia
di Sant'Andrea in Insulam, contribuendo a dare "gioie
profane" ai monaci benedettini.
Non era ancora un piatto da gustare durante le festività,
ma piuttosto "di un genere di consumo almeno
settimanale che attingeva al sacro".
Barche e pescatori nel porto
di Brindisi
Sino a non molto tempo
fa l'anguilla "in umido" era la portata più
ricorrente alla Vigilia di Natale e a Capodanno, una
pietanza semplice diffusa in tutta la tradizione meridionale
con tipiche varianti per ogni territorio. Il pesce,
tagliato a tocchetti, viene ancora oggi cucinato in
un sugo di cipolla, burro, erbe aromatiche e vino, successivamente
si aggiungono altre verdure ed il prezzemolo. Molto
richiesta è la sua preparazione al forno, ed
essendo le carni abbastanza grasse, si presta molto
bene nella cottura alla brace. Il suo sapore non delude
le aspettative anche come antipasto o nei filetti affumicati.
|
|
Anguille in umido
|
Anguille arrosto
|
A causa dell'inquinamento,
dell'eccessiva pressione della pesca e le numerose modifiche
dei corsi d'acqua che ne impediscono la migrazione riproduttiva,
la specie viene oggi classificata come gravemente minacciata
e a rischio di estinzione. È oggetto da alcuni
anni dei programmi di ripopolamento dell'ecosistema
selvaggio, per questo è stato disposto il divieto
di pesca in tutte le regioni italiane dal 1° gennaio
al 31 marzo di ogni anno.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n. 304 del 02/06/2023
Documenti
correlati
» Le
ostriche di brindisine, tanto amate degli antichi romani
» Il sarago brindisino,
noto già ai tempi dei romani
|