Home Page
Contatti
 
Cerca in Brindisiweb

 

BRINDISI ATTRAVERSO LA STORIA

GLI ANTENATI DEI BRINDISINI
GLI SPAGNOLI
(10^ parte)

Nei tempi antichi le regioni della penisola iberica che si affacciavano sul mare ebbero intensi scambi commerciali, oltre che culturali, con i Fenici, che giungevano con le loro navi dalle coste dell’attuale Libano; e con i Greci, che creavano i famosi empori per lo scambio di merci, provenienti anche dalle regioni più lontane d’Europa. Una città spagnola sulla costa meridionale si chiamava in lingua greca Emporion (ora Ampurias). La Catalogna, la regione che ha per capoluogo Barcellona, fu provincia romana dal 218 a. C.; poi occupata dai Visigoti e dagli Arabi. L’Aragona, anch’essa romana dal 28 a. C., divenne una grande potenza e si rafforzò unendosi con la confinante Catalogna. Sostenne una lunga guerra con la Castiglia, regione della Spagna centrale, dal 1336 al 1396; finché nel 1469 – col matrimonio di Ferdinando II il Cattolico, re d’Aragona, e di Isabella di Castiglia – si aprì di fatto il processo di unificazione della Spagna, realizzato nel 1520 da Carlo V.

Con la caduta degli Aragonesi, Napoli e il Meridione divennero una grande provincia del vastissimo impero spagnolo di Ferdinando il Cattolico prima, e di Carlo V dopo. Fu sul finire del 1503 (nel febbraio c’era stata la disfida di Barletta) che il regno di Napoli cadde in mano spagnola, dopo la breve occupazione francese di Carlo VIII; e nel novembre 1506 arrivò a Napoli il re Ferdinando il Cattolico.

Nel 1536, Carlo V (Gand 1500 – Spagna 1558), nipote di Ferdinando il Cattolico, divenuto re di Spagna dal 1516 al 1556, e Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1519 al 1556, regolava con la “prammatica” le gestione dei Municipi, che confermava in buona parte quella aragonese.

Alla base della comunità funzionava il Regimento o Parlamento (consiglio comunale), che si riuniva di solito la domenica nella piazza principale (platea publica), o nel palazzo del Sedile (c’era a Brindisi, Oria e Ostuni, oltre che a Lecce), o in case universali, inclusa la Chiesa Matrice. Si sceglievano il sindaco, due auditori e due ordinati (la Giunta di oggi), che duravano per il tempo di un anno (dal 1° settembre al 31 agosto); oltre a due razionali (ragionieri) che stendevano i bilanci pubblici, e i funzionari addetti ai vari servizi (mercato, tasse, costruzioni, ecc.).

Fu il governatore spagnolo Pietro Luigi de Torres a far portare, nel 1618, l’acqua potabile nel centro di Brindisi e a far costruire nella piazza da basso, o degli inferiori (l’attuale piazza della Vittoria), la fontana da cui gli abitanti del centro storico attingevano acqua.

La rivolta napoletana avvenne dall’inverno all’estate del 1647, e fu aizzata da Tommaso Aniello (Masaniello) per motivi fiscali: la tassa vicereale sulla frutta colpiva in particolare i più poveri tra i napoletani. A Brindisi la sommossa partì dai pescatori, che misero fuoco alla casa dell’esattore Ludovico Scolmafora: fu sedata il 3 settembre 1648 da 500 armati spagnoli.

Dopo le guerre angioine e aragonesi, l’agricoltura pugliese poté organizzarsi con muri a secco, tracciati, costruzioni rustiche, masserie. I contadini salentini provavano nuove colture, praticavano gli innesti, usavano di più la concimazione col letame, estendevano gli allevamenti. Si mangiava meglio e si viveva più a lungo.

Se nel 500 le condizioni di vita erano state migliori, nel 600 si verificò un declino dovuto alle epidemie che mietevano migliaia di vittime. La peste del 1656 interessò Napoli, la Campania, la Basilicata, ed esaurì la sua forza distruttiva prima di colpire la Terra d’Otranto.

Nel 1678, dalla scarsità dei raccolti conseguì un’epidemia di tifo, che fece migliaia di vittime in tutto il Salento.

Negli anni che vanno dal 1680 al 1693, olio e vino partivano dalla Terra d’Otranto, diretti in notevole quantità ai grandi mercati di Barcellona, Londra, Amsterdam, Berlino, Pietroburgo, Stoccolma. Alla Borsa di Londra era quotato persino l’olio di Gallipoli, molto noto e ricercato.

I sovrani spagnoli non provvedevano a riattivare l’area portuale di Brindisi, anche e soprattutto per impedirne l’accesso ai corsari. I brindisini, a causa delle frequenti carestie e dalle malattie provocate dalle paludi interne, stentavano a vivere e, quando potevano, abbandonavano la città.

Per un trentennio, a seguito delle guerre di successione, il regno di Napoli rimase viceregno austriaco. In quel periodo gli Austriaci agevolarono l’importazione in Puglia di ferro e legname provenienti dalla Baviera tedesca. Erano malvisti in Terra d’Otranto per le tasse esose imposte come “donativo”, allo scopo di sostenere la loro guerra contro gli Spagnoli.

L’occasione storica per il passaggio del regno di Napoli ai Borboni fu la guerra di successione polacca, che durò dal 1733 al 1738. L’occupazione austriaca finì nel 1734 con la proclamazione del re Carlo III di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese e di Filippo V. Nel 1759, per prendere possesso del trono di Spagna, Carlo III lasciò il regno di Napoli al figlio infante Ferdinando IV di Borbone.

Carlo III nacque a Madrid nel 1716 e lì morì nel 1788. Era figlio di Filippo V (Versailles 1683 – Madrid 1746), capostipite del ramo spagnolo dei Borbone. Sotto Carlo III, il regno di Napoli conobbe un’intensa stagione di riforme. Anche in Spagna, quando Carlo andò ad occupare il trono di Madrid, fiorì la cultura illuministica.

Questo sovrano ebbe il merito di eliminare, primo in Europa, la tortura; e istituì l’obbligo di motivare dettagliatamente per iscritto le sentenze di condanna. In precedenza, i popolani (i nobili avevano un trattamento diverso) colpevoli di omicidio erano condannati senza processo alla forca o alla decapitazione nella pubblica piazza, come spettacolo per i cittadini, ma anche come esempio deterrente. Talvolta erano le stesse guardie e i popolani a fare giustizia sommaria degli omicidi, durante il loro trasferimento al carcere. Allora la violenza nelle strade era molto comune. Nel 1738 Carlo III tentò invano di limitare i soprusi dei baroni, ch’erano sovrani senza controllo nelle loro terre, e potevano far ammazzare chi volevano o graziare un omicida.

Tra gli altri suoi meriti: la diffusione della coltivazione del cotone; il potenziamento delle stazioni portuali, la riattivazione delle terre ecclesiastiche parassitarie e inutilizzate. Nel 1740, avvalendosi dei consigli del validissimo Primo Ministro, il toscano Bernardo Tanucci, istituì il Catasto Onciario, che fu il primo passo per arrivare al moderno sistema degli accertamenti tributari. L’oncia, che allora equivaleva a sei ducati, è ora un’unità di misura corrispondente a 30 grammi (si usa tuttora nella Borsa di Londra). Carlo III fece coniare l’oncia napoletana; ma il ducato restava il più diffuso. Nell’antica Roma l’oncia corrispondeva alla dodicesima parte della libra o asse.

Il Catasto onciario di Brindisi, compilato nel 1754, contava 968 fuochi o famiglie (i fuochi, o focolari, avevano una media di cinque componenti per famiglia); 1836 bonatenenti (ricchi) tra residenti stabili e forestieri; 41428 once di reddito ricavato sui beni; 18506 once di reddito tassabile sulle proprietà degli Ordini religiosi, delle Chiese, degli enti.

All’epoca di Carlo III e Ferdinando IV si andava formando la nuova nobiltà vivente, la media e alta borghesia, costituita da benestanti, civili (i galanthuomini), medici, avvocati, notai, giudici, letterati, commercianti e proprietari terrieri, sempre più numerosi; che mettevano a rischio le eccessive prerogative dei baroni, obbligati dalle circostanze (e dai matrimoni misti) a diventare anch’essi borghesi.

Le nuove figure professionali dell’epoca di Ferdinando IV erano: il cerusico (il chirurgo); il dottor fisico (il medico generico); lo speziale di medicina (il farmacista); il procuratore ad lites (l’avvocato di cause civili e commerciali); lo scritturale (lo studente); e i funzionari della Regia Udienza: giudice a contratto, credenziere, mastro d’atti, trombetta, algozino; il mastro vocale, il musico di violino, il musico di cembalo. Per i lavoratori manuali, oltre ai contadini piccoli proprietari, gli artieri e i commercianti: il misuratore di sali, il fondachiere, lo scultore di tela, lo statuario in cartapesta, ecc. Per i lavori di campagna le qualifiche erano quelle di bracciale, giornaliere, giardiniere, mondatore, forese, macchiarolo, massaro. C’erano anche il mastro d’ascia (carpentiere), il calzettaio, il pizzillaro (venditore di merletti), il beccamorto, il chitarraro, il bottaro, il ferraro, il beccaro, lo zoccatore, il molinaro, il merciaiuolo, il cardararo, il gabelliere, il tavernaro, il saponaro, il sartore, lo scarparo.

Per conoscere la reale situazione dei sudditi, i primi re borbonici fecero fare inchieste, cui seguivano relazioni scritte. La più nota è quella redatta da Giuseppe M. Galanti. Gli Atlanti Sallentini furono invece curati da Giuseppe Pacelli. Sulle porcellane di Capodimonte si facevano riprodurre i più bei costumi delle popolazioni meridionali e siciliane.

Il filosofo inglese George Berkeley, che fu il primo inglese a scendere nella Terra d’Otranto nel 1716, descrisse Brindisi come una città di paludi, impregnata di miasmi e con un porto pieno di alghe.

Un altro inglese, Swinburne, giunse a Brindisi nel 1776 e vide il porto come “un immondo lago verde”, e la città fatta “di strade tortuose e rozze, e di fabbricati poveri e cadenti, abitati da 5-6.000 brindisini tormentati da dolori e febbri maligne”.

Nel 700 avvenne la più terribile carestia del secolo (1728). Se la peste si era attenuata, molto pericolose si rivelarono malattie come il vaiolo, il tifo, la dissenteria, gli avvelenamenti da adulterazioni e sofisticazioni di olio e vino. Nel secolo successivo fu il colera a fare molte vittime (terribile fu quello del 1837), e la necessità di debellarlo rese ancora più urgente la costruzione dei cimiteri. Un altro temibile colera si sarebbe poi verificato nel 1885.

Nel 1789, all’epoca della rivoluzione francese, Brindisi era divisa in quattro pittagi (rioni): Santo Stefano, Sant’Eufemia, Sant’Andrea e San Toma. Questi rioni erano formati da casette sparse circondate da laghetti paludosi; in forte contrasto con gli imponenti palazzi Granafei, Montenegro, De Marzo, Lacòlina, Balsamo, Perez, Ripa, tuttora esistenti.

Il primo circolo giacobino sorse a Napoli nel 1792, ad opera del brindisino Teodoro Monticelli, naturalista e vulcanologo, che insegnava all’Università di Napoli.

Nel 1798 i francesi sconfissero l’esercito borbonico e costrinsero Ferdinando IV a riparare con la famiglia a Palermo (23 dicembre 1798). Dopo alterne vicende, nel marzo 1806 il fratello maggiore di Napoleone, Giuseppe Bonaparte, fu nominato re di Napoli. Quando – dopo appena due anni - Giuseppe fu nominato re di Sardegna, il suo posto fu preso dal cognato Gioacchino Murat (1767 – 1815), autore di un’importante riforma amministrativa.

Con Murat, il cui regno durò solo sette anni, fino alla sconfitta del cognato Napoleone a Waterloo, nacque lo stato burocratico, con un gran numero di funzionari, consiglieri e impiegati, e terminò definitivamente quello feudale dei baroni. I feudi baronali furono assegnati ai Comuni o posti in vendita con l’asta pubblica.

Il regno di Napoli fu diviso in 15 province, ripartite in 42 distretti, e queste in circondari formati da gruppi di Comuni. A capo della provincia fu posto un intendente, che rispondeva direttamente al governo centrale; ogni distretto da un sottintendente, e ogni circondario da un governatore e da un giudice di pace. La provincia di Lecce, che conservò la denominazione di Terra d’Otranto, comprendeva quattro distretti: Lecce, Gallipoli, Brindisi-Mesagne, Taranto.

Quando i Borboni tornarono al potere, conservarono questa struttura amministrativa. I Comuni ebbero allora il compito di istituire l’istruzione elementare (non ancora obbligatoria), di fornire assistenza agli orfani, ai trovatelli e ai bisognosi in genere; si occuparono delle vaccinazioni contro il vaiolo e di istituire la Società Economica, antesignana della Camera di Commercio. Furono rinnovate le città con caseggiati moderni e funzionali; e realizzate grandi vie di comunicazione, con strade regionali e provinciali.

La peste era scomparsa; il vaiolo era frenato dalle prime vaccinazioni; il colera era combattuto con la prevenzione igienica e una migliore alimentazione. Nel 1818 Brindisi aveva 6114 abitanti; nel 1828, 6953; nel 1843, 7637; nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, 9137. Nel censimento del 1901 avrebbe avuto 25.317 abitanti (inclusa la frazione di Tuturano).

Fu Ferdinando IV di Borbone a ordinare la bonifica della’area portuale di Brindisi, e a incaricare Andrea Pigonati di allargare il canale di unione dei due porti (interno ed esterno), liberandolo dalle alghe, dal pietrame e dalla sabbia. Altri lavori furono eseguiti nel 1842; solo dopo il 1860 il porto di Brindisi riebbe la sua funzionalità.

I Borboni combatterono duramente, con una spietata repressione fatta di processi sommari e lunghe detenzioni coi ferri, le sette segrete (i Massoni, i Trinitari, i Patrioti, i Liberali, i Filadelfi, i Decisi, gli Edeniti, i Carbonari), che chiedevano uno Stato liberale; e che in seguito confluirono nella Giovine Italia. Tra tutte prevalse quella dei Carbonari. Le cellule (o vendite) carbonare erano costituite da persone del ceto medio, proprietari terrieri, liberi professionisti, sacerdoti, persino militari. Solo nel distretto di Brindisi i sospettati - schedati dalla polizia borbonica come effervescenti e di pessima condotta - erano 277; si riunivano in locali nascosti, nelle farmacie e nelle caffetterie.

Nel 1861, ad Unità finalmente compiuta, lo Statuto Albertino divenne la Costituzione Italiana. La nazione fu ripartita in province e i prefetti sostituirono gli intendenti; ogni provincia fu divisa in distretti e questi in mandamenti. Dallo stesso anno la verifica demografica del Paese avviene per legge ogni dieci anni.

Il 1° dicembre 1869 fu aperto il canale di Suez. Il porto di Brindisi, per merito della Valigia delle Indie, la grande linea ferroviaria e marittima che collegava Londra e Parigi con Bombay e Calcutta, uscì finalmente dall’isolamento in cui era stato confinato per secoli e divenne per 44 anni, dal 1870 al 1914, e poi nei decenni successivi, un importante luogo di transito – per traffico merci e passeggeri – tra l’Europa e l’Asia. Tornava così ad assumere il ruolo di grande importanza che aveva svolto, più di venti secoli prima, con gli antichi Romani.
(fine decima parte)

Testo di Roberto Piliego

Documenti correlati
» La fontana De Torres
» La rivoluzione dei fratelli Marinazzo
» Quando il canale-palude divenne corso Garibaldi

Print Friendly and PDF

English version

Brindisi på dansk

Come arrivare e muoversi
 



Partnership

 

Brindisiweb è un'idea di Giovanni Membola Crediti Copyright Contatti