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Testimonianze

Testimonianza del saggista francese Paul Bourget (19 novembre 1890)

Il rumore metallico dei ferri trascinati dai forzati che risuonava sinistro nel silenzio di una città all’epoca quasi del tutto deserta (la popolazione nel 1835 era di soli 7.504 abitanti, dei quali 3.417 maschi e 4.087 donne), ha impressionato l’immaginario di illustri visitatori che hanno trasmesso nei loro scritti la descrizione macabra di tale sensazione.

Le principali testimonianze sono quelle del pittore e poeta scozzese Craufurd Tait Ramage del 1828 e dell’archeologo Leon Palustre de Montifaut del 1867, ma vogliamo riportare quasi integralmente i testi dello scrittore e saggista francese Paul Bourget, in visita a Brindisi il 19 novembre del 1890 (leggi):

Nulla mi ha colpito il cuore come percorrere le corsie e le sale di questa fortezza, sempre accompagnato dal rumore di ferraglie. I settecento forzati vi vanno e vengono intesi ai loro lavori. Sono vestiti di camiciotti bruni e coperti, secondo il grado della loro pena, da un berretto rosso e verde. Tutti trascinano la gamba, gravata dal peso di quella barbara catena che parte dalla nostra cintura e finisce in un anello ribadito intorno alla caviglia. Camminando con quel passo pesante, nessuno fa rumore, ma tutti quei piccoli urti di ferro contro ferro, sommandosi, formano una specie di grande rumore metallico, e l’intera fortezza ne vibra, E’ una cosa indistinta, misteriosa, sinistra [...] l’eco del castello ascolta questo tragico concerto d’espiazione salire verso l’immobile cielo, a ogni movimento di questi disgraziati. Sui loro volti non si legge l’affanno angoscioso e furioso, ma l’ebetismo davanti all’irrimediabile destino. Queste facce di schiavi, non illuminati da alcun raggio di speranza, nano lasciano traspirar traccia alcuna di segreta, selvaggia rivolta. Ma il loro destino, per quanto rassegnato, è pur sempre là, immutabile. La visione di queste esistenze racchiuse per sempre nel bagno penale, è più penosa che altrove in questo paese di partenze. [...] Per sopportare questo spettacolo di vinta umiltà, bisogna ricordarsi che c’è del sangue su quelle mani che alzano il berretto per salutare lo straniero [...] il lavoro è relativamente dolce nei vasti laboratori areati. Si sa che un’intelligentissima direzione applica, alternandoli, questi condannati alla coltivazione delle terre, che la città, in altri tempi infestata dalle febbri, è, in tal modo, diventata abitabile”.

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