LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
LA
TRAGEDIA DELLA CORAZZATA BENEDETTO BRIN
27 settembre 1915
La Grande Guerra infuriava
da circa quattro mesi in Europa, e il porto di Brindisi
rappresentava un importante teatro per le operazioni
militari.
Qui erano ospitate numerose navi militari e da qui salperanno
in seguito per le più importanti battaglie i
mezzi navali e i sommergibili della flotta italiana,
francese ed inglese.
La corazzata Benedetto Brin
Erano
da poco passate le ore 8 del mattino di quel caldo lunedì
27 settembre 1915, ed un forte boato scuote la città.
Sulla corazzata Benedetto Brin, ormeggiata
nel porto medio (in prossimità della spiaggia
di Marimist), esplode il deposito di munizioni e un
forte incendio si sviluppa su tutta la nave, che affonda
in poco tempo.
Teodoro Andriani [1] riporta
la testimonianza di Fausto Leva, alto ufficiale della
Marina: "nel fumo densosi distinse per un momento
la massa d'acciaio della torre poppiera dei cannoni
da 305 mm, che lanciata in aria dalla forza dell'eplosione
fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente
in mare, sul fianco sinistro della nave. Pochi momenti
dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della B.Brin
fu veduto appoggiare senza sbandamento sul fondo di
dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi
un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata
si nascondeva sotto l'acqua che arrivava a lambire i
cannoni da 152 della batteria, la parte poppiera completamente
sommersa appariva sconvolta e ridotta ad un ammasso
di rottami. Caduto il fumaiolo e l'albero di poppa,
si erge ancora dritto e verticale l'albero di trinchetto."
Si intuisce dal racconto come i gas dell'esplosione,
seguendo la direzione di minore resistenza, si siano
fortunatamente diretti verso l'alto anzichè espandersi
lateralmente e causare gravi danni alle navi vicine:
la Giulio Cesare, la Dante Alighieri,
la Leonardo Da Vinci, la Nino Bixio,
l'Emanuele Filiberto, la Saint Bon
e la Regina Margherita.
L'esplosione fece tremare l'intera
città e l'onda d'urto provocò la rottura
dei vetri e la caduta di intonaci di numerose abitazioni.
L'alta colonna di fumo “giallo-rossastro”
che si levava dal porto medio fece credere - in un primo
momento - che fosse saltato in aria il Castello Alfonsino,
solo quando la fitta nebbiolina provocata dall'esplosione
si diradò, la triste realtà fu chiara
a tutti.
La nave si incendia e si adagia
sul fondale del porto. In secondo piano la corazzata
gemella Regina Margherita
Sui 943 uomini che
dell'equipaggio 456 furono i morti,
tra loro il CV Gino Fara Forni e il
contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin,
rispettivamente comandante della corazzata e comandante
della divisione navale, insieme ad altri 21 ufficiali
quasi tutti riuniti a rapporto nel quadrato di poppa
o in servizio nelle sale macchine, solo 8 ufficiali
risultarono superstiti. Ben 369 uomini risultarono irriconoscibili
o scomparsi. L'unico militare brindisino deceduto nella
tragedia si chiamava Cosimo Sindaco.
I funerali delle prime salme recuperate ebbero luogo
il giorno successivo alle ore 16, le spoglie dei marinai
furonoi seppellite in un'area cimiteriale messa a disposizione
dal Comune, che indisse 3 giorni di lutto cittadino.
Tantissimi i feriti, soccorsi immediatamente dai marinai
italiani e francesi e trasportati con i rimorchiatori
e le imbarcazioni nelle infermerie delle altre navi
presenti nel porto e nell'ospedale della Croce Rossa
e quello adibito per l'occasione all'interno dell'albergo
Internazionale.
Numerose testimonianze descrivono lo spettacolo raccapricciante
dei corpi martoriati e le orribili ferite dei superstiti,
delle operazioni di salvataggio che durarono l'intero
giorno e la notte, con la cittadinanza riverente che
si riversò sulle vie del porto.
La corazzata in fase di affondamento
dopo l'esplosione
La nave fu progettata dall'ingegnere
navale e ministro della Marina Benedetto Brin che morì
prima del completamento dei lavori; il varo avvenne
a Castellammare di Stabia il 7 novembre del 1901 con
un costo complessivo per la sua realizzazione di lire
51.350.000. Lunga 138 metri e larga 23, aveva una stazza
di 14mila tonnellate ed era dotata di 46 cannoni, 2
mitragliere e 4 lanciasiluri.
Partecipò a diverse battaglie navali nella guerra
italo turca del 1911, con il bombardamento dei forti
di Tripoli e le operazioni contro Bengasi, la Cirenaica
e Rodi. Ha anche partecipato attivamente nella guerra
contro gli austriaci.
Le
cause dell'esposione non sono mai state chiarite con
certezza assoluta, tra le ipotesi formulate con maggiore
insistenza c'è quella di un falso prete a servizio
dall'Austria, o di un marinaio traditore, che avava
collocato un ordigno nei pressi della "Santabarbara"
della nave.
Fu subito esclusa l'eventualità di un'azione
dei sommergibili nemici, in quanto il porto era chiuso
da una rete metallica risultata integra ai successivi
controlli.
La commissione d'inchiesta non ha mai confermato nessuna
della cause ipotizzate, tra queste anche la combustione
spontanea nella zona degli esplosivi.
Antonio Caputo [2] valorizza
la tesi della "tragedia annunciata",
ovvero la vicinanza della sala macchine alla Santabarbara
(deposito munizioni): il calore prodotto dai motori
non veniva sufficientemente disperso dai ventilatori,
lenti ed inadeguati, che provocò l'autocombustione
della balistite presente nei locali,
un potente esplosivo a base di nitroglicerina e cotone
collodio che esplode fragorosamente e brucia senza produrre
fumo. A conferma di ciò nei giorni seguenti fu
ordinato, dal comandante della piazzaforte marittima
di Brindisi, lo sbarco della balistite anche dalle altre
navi.
La deficienza di ventilazione e della refrigerazione
era stata segnalata al Ministero nel luglio del 1914
con una lettera manoscritta del comandante della nave
Gino Fara Fondi, al quale non fu dato evidentemente
il giusto seguito.
Inoltre già nel 1904 fu segnalata la pericolosità
dei tubi di vapore che attraversavano il deposito di
munizioni, che furono prontamente coibentati. Ma evidentemente
non fu sufficiente.
Il tragico episodio colpì l’intera
opinione pubblica nazionale, grande emozione suscitarono
le tantissime vittime, i principali giornali a tiratura
nazionale dedicarono al disastro tutte le loro prime
pagine, come il noto settimanale Tribuna Illustrata
che nel numero pubblicato nell’ottobre 1915 propose
in copertina il disegno a colori da E. Abbo riguardante
il triste evento.
Il motto della nave era: "par
ingenio virtus" (il valore è pari all'ingegno)
Il relitto della nave fu recuperato
dal fondale del porto nel 1924 con l'utilizzo di notevoli
gru dalla ditta Venturini e Toffolo. Durante queste
fasi furono rinvenuti i resti di altre vittime all'interno
della carena che furono raccolti in un unico sarcofago
e portati al cimitero locale con una cerimonia solenne
il 27 settembre, in occasione del nono anniversario
della tragedia.
Il recupero della corazzata
Benedetto Brin
Lo scafo venne poi smontato e fatto
a pezzi. Furono recuperati i cannoni, compresi quelli
della torre poppiera saltati in aria durante l'esplosione,
e riutilizzati come Pontoni Armati, ovvero pontoni galleggianti
semoventi (max 5-6 nodi), che molti danni causarono
ai nemici in tutto il nord Adriatico.
Durante i lavori di dragaggio del porto fu recuperata
anche la campana della corazzata, conservata nella cappella
sacrario del Monumento al Marinaio.
In un'area centrale del cimitero di
Brindisi, messa a disposizione appositamente dall'amministrazione
comunale, vennero seppellite le oltre 450 salme martoriate
dei marinai deceduti nella tragedia, successivamente
traslate al cimitero militare di Bari. Sempre nel cimitero
di Brindisi fu elevato un cippo funerario in ricordo
della Grande Guerra con una statua in bronzo raffigurante
una donna (l'Italia) che piange i suoi caduti in guerra,
ovvero i morti della corazzata Benedetto Brin, di autore
sconosciuto. Sul lato del cippo una lapide ricorda "Il
27 settembre 1915 funestamente affondava in questo porto
e andava distrutta la R. Nave Benedetto Brin".
L'area, destinata ai morti in guerra, si distingue dalle
tante croci bianche, dal monumento bronzeo e dal Famedio
Militare fatto costruire successivamente per le vittime
della tragedia e dove hanno trovato sepoltura altri
caduti in guerra.
In uno dei loculi del Famedio Militare sono ancora oggi
conservati i resti del contrammiraglio Ernesto Ferdinando
Rubin de Cervin, barone e comandante della 3za Divisione
Navale della 2da Squadra, il Ministero della Marina
non acconsentì il trasferimento della salma per
essere seppellita nella tomba di famiglia a Torino.
Fotogallery
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Il varo della
corazzata |
Immagini del
disastro |
la campana
della corazzata |
Tribuna
Illustrata |
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Il cimitero di guerra |
Cippo funerario, statua e
famedio |
Cippo funerario con epigrafe |
Il Famedio Militare |
In occasione
del centenario della tragedia, il 22 settembre 2015
la Società di Storia Patria per la Puglia - sezione
di Brindisi ha organizzato un Convegno di Ricerca storica
su "L'esplosione nel porto di Brindisi della "Benedetto
Brin" (link
- locandina).
Una sintesi degli interventi è stato pubblicato
su Brindisireport a cura di Barbara Moramarco (link
all'articolo).
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