LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
LA LEGGENDA DEL
TORNESE DI BRINDISI
La tradizione popolare attribuisce l'origine del nome
dell'antica moneta alle vicende legate al Corpus Domini,
ma esistono altre interessanti ipotesi, verosimilmente
più attendibili
Ogni luogo conserva
storie e leggende popolate da figure reali e mitologiche.
Spesso ai santi e agli eroi, protagonisti delle narrazioni,
si uniscono e si intrecciano altri elementi che arricchiscono
il racconto folcloristico tramandato oralmente per secoli,
tanto da diventare parte del ricco patrimonio culturale
del luogo. Tutto ciò è avvenuto anche
nell'antica leggenda del denaro tornese, la moneta coniata
in epoca sveva-angioina, divenuta co-protagonista della
storia legata alla tradizione brindisina del Corpus
Domini.
Tornese è il nome italianizzato della moneta
foggiata nella città francese di Tours in epoca
carolingia (742-814), da cui la locuzione latina "denarius
turonensis", un termine poi utilizzato durante
il medioevo anche per numerose monete coniate nelle
altre zecche italiane ed europee.
Questo dischetto metallico in rame e in argento ebbe
larga circolazione persino in oriente grazie ai traffici
e ai movimenti dei crociati, nei secoli è stata
ampiamente imitata e contraffatta. Le monete furono
create anche nella Repubblica di Venezia, con il nome
di torneselli, e nel regno delle due Sicilie, dove circolarono
fino all'unificazione italiana, perdendo nel tempo le
caratteristiche dei "denier tournois"
francesi ed orientali.
Esemplare di denaro tornese originario
battuto nellabbazia francese di Saint Martin de
Tours
Si è molto
discusso sull'origine dell'etimologia di questa antica
moneta, i numismatici attribuiscono da sempre il termine
al luogo di coniazione (Tours), mentre altri storici
e scrittori del passato lo hanno spesso associato al
verbo "tornare", riferendosi ad eventi commemorativi
di avvenimenti storici e politici a ricordo di un ritorno
di qualcosa o di qualcuno. In quest'ultimo ambito rientrerebbe
proprio l'origine della leggenda brindisina del tornese,
strettamente collegata ad un'altra reminiscenza remota
ricca di mistero, ovvero il rituale religioso del Cavallo
Parato. L'evento, unico nel suo genere, viene cerimoniato
solo a Brindisi in occasione del Corpus Domini, allorché
il Vescovo porta in processione il Sacramento per le
vie principali della città montando su un cavallo
bianco parato, a rievocare l'antica tradizione originata
nel 1254.
Alle radici del racconto vi sarebbe la circostanza che
ricorda l'approdo difficoltoso a Brindisi del re di
Francia Luigi IX, di ritorno dall'Egitto durante
la settima crociata (1248-1254). Il "re santo",
così conosciuto per la sua successiva santificazione,
dopo la conquista della città di Damietta in
Egitto, nel 1250 decise un attacco al Cairo, ma venne
sconfitto e fatto prigioniero nel corso della battaglia
di El Mansura (5 e 6 aprile). Per il suo rilascio dovette
restituire la città conquistata e versare un
riscatto di un milione di scudi, ma non avendo i denari
sufficienti, avrebbe lasciato in pegno l'Eucarestia.
Tornando in Occidente il sovrano sarebbe approdato a
Brindisi dove trovò l'amico Federico II,
l'imperatore svevo "inorridì al pensiero
che l'ostia sacralissima di Cristo si trovasse nelle
mani impure del rappresentante di Maometto, e corse
ai ripari, generosamente, per far cessare quello scempio"
(C. Teofilato, 1931), e ordinò subito alla zecca
brindisina di coniare tante piccole monete d'argento
aventi sul lato dritto il simbolo del tabernacolo e
nel rovescio la tipica aquila coronata sveva. Tremila
di questi denari furono consegnati al sovrano francese
per il pagamento del riscatto pattuito, con tale tesoro
Luigi IX tornò in Egitto dal Saladino
e pretese la restituzione del sacro pegno: "tra
l'uomo santo e il monarca infedele [
] si svolse
allora una fraterna gara di generosità, alla
quale non dovette essere estraneo il gran nome di Federico,
ben noto al Sultano". Il principe orientale,
infatti, ammirando la fede del "re perditore",
restituì l'ostia consacrata rifiutando i denari
come premio alla sua fede e lealtà. Pertanto,
le tremila monete d'oro e d'argento, essendo "tornati"
a Brindisi dove erano state battute, furono da quel
momento denominate "tornesi".
Nell'occasione del secondo rientro in Italia, la nave
sarebbe stata sospinta da una forte mareggiata sullo
"scoglio" del promontorio distante circa tre
miglia a sud di Brindisi, qui si recò l'Arcivescovo
Pietro III, detto Paparone, che essendo molto
vecchio montava su un cavallo bianco. In questo luogo
ameno, da allora denominato Punta Cavallo, gli fu consegnato
il tabernacolo contenente il Santissimo Sacramento,
che fu portato in processione sino alla città,
seguito dal clero e dal popolo dei fedeli. Dall'affascinante
racconto prenderebbe origine l'usanza tutta brindisina
di portare solennemente, su un docile cavallo bianco
ornato con paramenti sacri, l'ostia consacrata nel giorno
del Corpus Domini.
Moneta coniata da Federico II
a Brindisi, su dritto l'aquila reale, sul verso la croce
patente
Le
leggende si sa, possono essere il frutto della fantasia
ma possono anche scaturire e contenere fatti e situazioni
realmente accaduti, racconti del passato mai comprovati
da elementi storici.
È sempre lo studioso Cesare Teofilato
(1881-1961 foto a lato) a formulare
un'altra possibile ipotesi sulle radici dell'onomatopea
della moneta, collegata sempre alla rievocazione di
un ritorno. Secondo lo storico nonché attivo
antifascista francavillese, il nome del tornese nel
meridione d'Italia potrebbe anche derivare dalla commemorazione
di un altro ritorno, ossia quello della Casa Sveva nel
Regno di Sicilia: dopo la morte di Federico II (13 dicembre
1250), il papa Innocenzo IV fomentò numerose
ribellioni in tutto il Mezzogiorno svevo, le sommosse
furono in parte contenute da Corrado e Manfredi, figli
dell'imperatore e rispettivamente erede legittimo e
reggente del regno. Napoli e altri territori, passati
sotto il controllo degli insorti, furono riconquistati
con energia dai due fratelli nell'ottobre del 1253,
e per celebrare il "ritorno" del dominio svevo,
furono foggiate alcune modeste monete dette appunto
"tornesi".
Alcuni esemplari di questi rarissimi denari facevano
parte della collezione del prof. Teofilato, grande esperto
di numismatica, che basandosi su alcune tecniche di
lavorazione "e per leggende", furono
ritenute coniate nella zecca di Brindisi nel 1251-53,
su ordine di Manfredi a nome di Corrado. Le rare monetine,
di cui non sono mai state diffuse le immagini, avevano
diametro di diciassette millimetri e peso di circa un
grammo, recavano nella parte centrale del lato diritto
le sigle "A o P" racchiuso in un cerchietto,
monogramma interpretato come "Apuliae", quindi
"C o IMPERATREX" inciso in modo circolare
sull'intorno, interpretato come "Corrado imperatore
e re", della Puglia appunto. Sul rovescio era impresso,
sempre all'interno di un cerchio, il simbolo di una
croce patente accostata - in ogni quadrante - da quattro
piccoli astri accantonati a sei punte, il testo "M
o IMPERATOR" era segnato nello spazio sottostante
e sull'intorno, interpretato come "Manfredi
imperatore, nel senso di capo dell'esercito, come nella
monetazione della fine della repubblica romana".
Moneta della zecca di Brindisi
coniata da Manfredi
Ricordiamo che il
privilegio di battere moneta a Brindisi fu concesso
con ogni probabilità da Enrico VI di Hohenstaufen,
padre di Federico II, nelle officine della zecca situate
nella Domus Margariti, la sontuosa casa dell'ammiraglio
normanno distrutta in epoca angioina (1281) per far
posto al convento francescano di S. Paolo Eremita; la
zecca fu riportata a Brindisi da Manfredonia, dove era
stata spostata da Manfredi per pochi anni (1263-1266),
nella nuova sede costruita sull'isolato racchiuso tra
le vie Tarantini - De Dominicis - De Leo - Montenegro,
nei pressi della Cattedrale, rimanendo complessivamente
attiva per oltre tre secoli, coniando complessivamente
ben 338 monete diverse. Con Federico II è possibile
che abbia avuto anche "funzioni di deposito
di oro, e moneta, nel senso di banca di stato"
(E. Travaglini, 1972), divenendo la più importante
nella parte continentale del regno, insieme a quelle
di Messina, dove lo Stupor Mundi fece introdurre e coniare
il denaro tornese per tutto il Regno di Sicilia, "moneta
della quale gli Angioini avrebbero fatto largo uso,
sulla base della primigenia linea federiciana"
(S. Perfetto, 2020).
È ancora in uso in diverse località salentine
chiamare tutte le monete con il termine dialettale "li
turnìsi", a Brindisi tale espressione era
alquanto diffusa sino ad alcuni decenni fa, un vocabolo
che si ritrova in numerosi proverbi e modi di dire nati
dalla remota saggezza popolare, che traevano dall'esame
delle diverse abitudini nei confronti del denaro interessanti
spunti di riflessione.
Brindisi, via G. Tarantini. Isolato
dove aveva sede la zecca angioina
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.221 del 22/10/2021
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Bibliografia:
- Cesare Teofilato, La leggenda del tornese
di Brindisi, in Vecchio e nuovo,
2 (1931), nn. 2-3, pp.33-6
- Eugenio Travaglini, La zecca di Brindisi
in documenti e scritti di epoca sveva, in
Brundisii res vol. 4 (1972) p. 123-146
- Simonluca Perfetto, La zecca di Napoli
al tempo di Federico II, in Monete Antiche
n. 113 - (sett-ott 2020) pag. 27-46
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