LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
BRINDISI SALUTA
ENTUSIASTICAMENTE 400 OPERAI
IN PARTENZA PER L'AFRICA ORIENTALE
13 aprile del 1935
Non basterebbe un
libro intero per raccontare e descrivere tutti gli eventi
che hanno avuto come scenario il porto di Brindisi,
meta per millenni di arrivi e partenze illustri e di
innumerevoli vicende che meriterebbero tutte di essere
conosciute. Uno dei tanti avvenimenti meno noti, ma
non per questo meno interessanti, si svolse il 13
aprile del 1935 in occasione del raduno organizzato
sul lungomare del porto interno per salutare i quattrocento
operai in partenza per l’Africa Orientale, evento
che registrò una folta ed entusiastica partecipazione
dei cittadini brindisini, di funzionari e seguaci del
regime fascista.
Brindisi 13/4/1935, il corteo
sulla banchina della dogana
Nei possedimenti
coloniali italiani nel Corno d'Africa era necessaria
tanta manodopera qualificata per la realizzazione di
opere pubbliche come ospedali, strade, porti, ferrovie,
reti idriche e per i baraccamenti utili a dare alloggio
alle truppe in arrivo dall'Italia. La manodopera indigena
era insufficiente e di scarso rendimento, e non era
possibile ingaggiare operai dall’Egitto e dal
Sudan per l'opposizione degli inglesi. Ad Asmara il
generale Emilio De Bono, nominato Alto
Commissario e comandante superiore delle truppe dell’Africa
Orientale Italiana (formata dall’Eritrea
e dalla Somalia italiana, AOI), in vista dell’attacco
all’Etiopia e assillato dalle continue richieste
di maestranze, chiese all’Italia l’invio
di almeno diecimila operai, poi diventati cinquantamila.
Inizialmente non ci fu una vera e propria selezione
e in Africa arrivarono tanti italiani senza alcuna esperienza
di lavoro nell’edilizia, gente che non aveva “mai
preso un attrezzo in mano”: maestri di scuola,
barbieri, orologiai, farmacisti, sacrestani, calzolai,
camerieri e persino mutilati. I segretari federali furono
accusati di aver colto l'occasione per mandare nelle
colonie italiane molti sfaticati e disoccupati cronici,
giusto per sbarazzarsi di loro in patria. Le condizioni
di vita e di lavoro a quelle latitudini erano davvero
precarie, ben presto ci furono numerose richieste di
rimpatrio, con lettere piene di amarezza e di proteste,
infatti dall'aprile del 1935 al febbraio 1936 –
racconta lo storico Angelo Del Boca - 4.416 operai ottennero
di poter rientrare in Italia per motivi di salute, mentre
altri 868 vennero rimpatriati per insubordinazione,
persone che secondo il regime fascista erano "pervasi
dall'indisciplina marxista" ma che in realtà
protestavano non solo per l'orario di lavoro, fatto
di 10 ore al giorno in quelle "conche infuocate"
dove per il caldo e per la malaria rischiavano di ammalarsi
e morire, ma anche per “l’orribile vitto"
composto principalmente di pane ammuffito e carenza
di acqua. “I più riottosi subirono
anche una sanzione più severa, furono incorporati
nelle compagnie speciali di ‘rieducazione sociale’
e mandati a lavorare nelle regioni più torride”.
A sx la mappa dell'Africa Orientale
Italiana e a dx il poster di G.Boccassile del Lloyd
triestino AOI del 1935
I lavoratori rientrati
in Italia vennero presto sostituiti da altri operai
attratti fondamentalmente dagli aspetti positivi di
questo lavoro: il salario infatti era di venticinque
lire al giorno per i manovali, trentacinque per gli
specializzati oltre ad una indennità di quindici
lire per tutti coloro che lavoravano nei bassopiani
o nelle aree malariche. Una retribuzione due o tre volte
superiore a quella percepita in Italia e che le maestranze
potevano in buona parte inviare in patria ai propri
famigliari. Si partiva per l’Africa sui piroscafi
o le motonavi dai porti di Genova, con tappe a Napoli
e Messina, o da Trieste, con scali a Venezia e Brindisi,
si attraversava il Canale di Suez e si arrivava Massaua,
in Eritrea, dopo circa 5-10 giorni di navigazione, porto
dove la gran parte degli italiani decidevano di sbarcare.
Si poteva anche proseguire per Assab, Gibuti, Mogadiscio
e Chisimaio, ultima città italiana al confine
con il Kenya, dove si giungeva dopo ben 18 giorni di
viaggio.
Banconota da 100 lire usata per
le colonie del corno d'Africa (Capranesi)
Il governo fascista
aveva deciso di arruolare anche alcuni centinaia di
volontari salentini, ritenuti “lavoratori
tenaci, sobri e silenziosi", quasi tutti operai
specializzati dell’industria e dell’agricoltura.
Il reclutamento era stato disciplinato del Prefetto
Ghidoli in accordo con il Segretario Federale
comm. Mugnozza, e fu portato a termine
in pochi giorni grazie alla "fervida ed appassionata"
collaborazione dei sindacati e dei segretari dei Fasci
di Combattimento. Gli operai ingaggiati nei paesi della
provincia affluirono nel capoluogo la mattina di sabato
13 aprile del 1935 ed insieme a quelli arruolati a Brindisi,
furono accolti dalle "più simpatiche
attenzioni da parte della cittadinanza". A
mezzogiorno a questa "centuria" di lavoratori
fu offerto il pasto nella sala della segreteria Federale
del partito fascista, dove avevano sede anche le cucine
destinate ai ranci del popolo dell'Ente Opere Assistenziali;
il locale era stato sfarzosamente addobbato con bandiere
e striscioni inneggianti la Patria e il regime, al centro
del quale svettava una grande effige di Benito Mussolini.
A tutti gli operai era appuntata sul petto una coccarda
tricolore con la scritta "Viva il Duce", tra
loro anche un giovane di San Vito dei Normanni inizialmente
non selezionato per l’età, ma dopo aver
chiesto direttamente al Duce “l’onore di
partire”, venne da questi accontentato.
Brindisi 13/4/1935, il rancio
offerto agli operai partenti nella sala della segreteria
Federale del partito fascista
Nel primo pomeriggio
giunsero da Lecce, con il treno “diretto all’alta
Italia”, altre tre centurie di lavoratori
assoldati nella vicina provincia, dalla stazione sfilarono
sino al porto cantando gli “inni della rivoluzione”
tra gli applausi della cittadinanza radunata ai lati
dei corsi principali. Tutti i quattrocento lavoratori,
accompagnati dai famigliari, si riunirono e si schierarono
lungo il molo "ben presto rigurgitante di popolo
acclamante", racconta un resoconto di quel
giorno carico della tipica retorica propagandistica
dell'era fascista. Il segretario federale locale consegnò
personalmente ad ogni operaio "fascie di lana,
occhiali per sole e sabbia, sigarette e tabacco per
la cui spesa avevano contribuito volontariamente i lavoratori
del commercio ed i lavoratori del porto". Intanto
un “imponentissimo” corteo, preceduto
da labari e bandiere di tutte le organizzazioni ed associazioni
aderenti al partito, dopo aver percorso le vie cittadine
al ritmo di marce ed inni fascisti suonati dalla banda
dei marinaretti dell'Opera Balilla, raggiunse l’ormai
affollatissima zona dell'imbarco, dove si erano riuniti
anche le autorità locali, con a capo il podestà
Corradino Panico Sarcinella e il console
generale cav. Martinesi, insieme alle
rappresentanze della città di Lecce.
Brindisi 13/4/1935, l'imbarco
dei lavoratori sulla nave Conte Rosso
Puntuale come un orologio
svizzero, alle ore 16 attraccò alla banchina
della Dogana l’imponente mole bianca del “Conte
Rosso”, uno dei più prestigiosi
transatlantici della marina mercantile italiana, da
poco requisito alla compagnia di navigazione Lloyd Triestino
e adibito al trasporto di truppe e coloni in Africa
Orientale. Su questa nave nel gennaio dell’anno
precedente era giunto a Brindisi lo scienziato Guglielmo
Marconi, ospite per l’intero giorno - in città
ed in provincia - dei conti Dentice di Frasso (leggi).
Le operazioni di imbarco si svolsero rapidamente: man
mano che venivano chiamati, ad ogni lavoratore fu consegnata
una bandierina tricolore da sventolare una volta saliti
sulla nave, per salutare e rispondere alle ovazioni
che giungevano dalla folla assiepata sulla banchina,
“mentre la instancabile banda dei Marinaretti
continuava a far salire al cielo le fatidiche note”.
Dopo l’imbarco degli altri passeggeri, della posta
e delle merci, alle ore 18 la nave si staccò
dalla banchina al potente suono della sirena, e drizzando
rapidamente la prua verso l’uscita del porto si
avviò nel suo lungo viaggio, “mentre
da terra e da bordo si alzava, come una voce possente
di tutto un popolo, il canto di Giovinezza".
Transatlantico Conte Rosso del
Lloyd Triestino
Sui rotocalchi dell’epoca,
alimentati dall’enfasi di regime, non c’era
spazio per i sentimenti, le emozioni e le lacrime dei
famigliari rimasti sul molo a salutare mariti, figli
e parenti stretti appena partiti per quella lontana
destinazione, piena di incognite e pericoli. La si può
solo immaginare.
Giovanni
Membola
per Il 7 Magazine n.85 del 15/02/2019
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Bigliografia
- Francesco Tegani,
Colonialismo italiano in Africa Orientale
in Il Ritaglio del 18 gennaio 2012
- Angelo Del Boca,
Gli italiani in Africa Orientale -
2. La conquista dell'Impero
- Nicola Labanca.
Oltremare. Storia dell’espansione
coloniale italiana, 2002
- Alessio Gagliardi.
La mancata «valorizzazione» dell’impero.
Le colonie italiane in Africa orientale e l’economia
dell’Italia fascista, in Storicamente.org
Laboratorio di Storia, n. 12 2016
- Il Giornale di Brindisi
del 18/3/1935
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