LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
Rosario Mascia
Diario di viaggio della Valigia delle Indie
Parte quarta:
Pakistan
Il posto di frontiera
di Taftan, sul versante pakistano, è uno dei
luoghi più caldi del paese. Se non temessi di
sentirmi impacciato nella guida acquisterei uno dei
loro lunghi camicioni bianchi che sicuramente tengono
il corpo più fresco dei miei abiti occidentali.
Il ventilatore sul soffitto muove appena l'aria nell'ufficio
passaporti dove la lettera speditami dal ministero del
turismo fa di me un amico del paese e pochi minuti più
tardi vengo accompagnato alla dogana dove l'atteggiamento
amichevole dei doganieri mi mette a mio agio. La curiosità
per il viaggio che sto compiendo è grande così
come la voglia di venirmi incontro.
Pakistan, una delle mie scorte
Quasim Baloch, un
funzionario con due grossi baffi neri, mi invita a pranzo
e mi offre di riposare nel dormitorio in attesa che
giunga la mia scorta. Per via del caldo, siamo nel centro
del deserto del Belochistan, diviso tra Iran e Pakistan,
si preferisce viaggiare di notte ma neanche questa porta
un gran refrigerio. Il Levies Ranger, col suo kalashnikov,
giunge verso le otto e pochi minuti piu' tardi partiamo
salutati da tutti i funzionari. Mi aspettano lunghe
ore di pericolosa guida notturna perché gli automezzi,
in maggioranza grossi camions, come in tutti i paesi
asiatici tengono accesi i fari abbaglianti e difficilmente
li abbassano nonostante la ristrettezza del nastro d'asfalto
che in alcuni punti costringe a fermarsi per dare la
precedenza al mezzo di fronte. A mezzanotte, con una
stanchezza che mi fa vedere doppio, entriamo nel cortile
della caserma di Dubaldin dove alla luce di un paio
di torce, approntano per me un "charpay",
il letto di corde, sul quale stendo il sacco a pelo
addormentandomi profondamente sotto il faccione della
luna piena. Al risveglio scopro che l'uomo distante
circa otto metri é un criminale accusato di diversi
omicidi che la notte viene incatenato ad un grosso maglio
in attesa di tradurlo in tribunale.
Pakistan, deserto del Balochistan
Riparto con un nuovo
Ranger, cambieranno al limite di ogni distretto amministrativo,
diretto a Quetta la capitale del Belochistan, circondata
da montagne e situata in una posizione militarmente
strategica alla confluenza delle strade per l'Afghanistan,
l'Iran ed il cuore del paese ttraverso il passo di Bolan.
Alla periferia sono atteso da uno dei capi della locale
polizia che con due jeep a sirena spiegata si fa largo
nel traffico caotico scortandomi sino all'albergo. La
città sembra in stato di assedio tanti sono i
soldati che la presidiano: domani, 14 Agosto, è
la festa nazionale in ricordo della separazione dall'India
e si teme che ciò possa dare adito a disordini
da parte di gruppi di fondamentalisti. La sua urbanistica
fu realizzata dall'ingegnere britannico Herry Oddin-Taylor
con costruzioni basse ed anti-sismiche che lasciano
molto a desiderare per l'architettura. Afal Ahmed Jamal,
segretario aggiunto del dipartimento per gli Affari
tribali, organizza le mie nuove scorte nei villaggi
delle montagne dove i pericoli sono costituiti da lunghi
tratti di sterrato, pietre appuntite, dossi, e fossati
pieni di melma per le recenti piogge monsoniche. In
uno di questi, inevitabile perché invadeva tutta
la strada e molto piu' profondo di quanto avevo previsto,
si immerge "Himalaya" il cui motore viene
totalmente sommerso di fango. Con l'aiuto di Saifullah,
Ranger di scorta e provetto meccanico, riesco a tirare
fuori dal fango l'auto la cui robustezza e semplicità
le permettono di riavviarsi dopo diversi colpi di tosse.
Pakistan, la mia camera da letto
nella caserma di Dalbaldin
Ziarat, Larolai, Larolai,
Mektar, dormendo sempre nei cortili delle caserme, ed
infine Rokni, ospite di Mohamad Azim Akzem, un comandante
di origine afgana che non mi lascia un minuto da solo
e la sera mi offre il suo "charpay" nel cortile
di casa mentre coricandosi poco distante su una coperta
stesa sulla nuda terra e la canna del kalashnikov appoggiata
allla guancia. Nonostante sia all'interno di una caserma
attorniato da soldati, qui come nelle altre, sono sempre
stato invitato a chiudere a chiave l'auto!
Il Punjab, la "terra dei cinque fiumi", mi
appare come un giardino dopo l'aridità del deserto
e delle montagne. Il Sutlej, il Ravi, il Beas, il Jhelum
ed il Chenab ne fanno la provincia più fertile
del Pakistan dove vive la metà dell'intera popolazione.
Attraverso questa regione passavano i grandi itinerari
dell'antichità che dall'Asia centrale dirigevano
verso il sub continente indiano, la Grand Trunk Road,
come la chiamarono gli inglesi, e qui sorsero grandi
regni come quello testimoniato dai resti archeologici
di Taxilia.
A Dedra Gaghi Khan la mia scorta sosta sul lungo ponte
che supera l'Indo, il quale in alcuni tratti tra le
due sponde é largo circa cinque chilometri, per
permettermi di ammirare la maestosità delle acque
color ocra. Oltre, viali alberati e verdi piantaggioni
sulle quali lo sguardo si riposa, costeggiano una strada
ben asfaltata sulla quale vorrei guidare con un pò
di calma per godermi questo invitante paesaggio ma la
scorta ha fretta di giungere a Lahore, la capitale culturale
ed artistica del paese, dove bianche lenzuola mi accolgono
nello storico Hotel Faletti, il principale albergo della
città nell'epoca coloniale.
Pakistan, un tratto di strada
verso Quetta
La frontiera con
l'India è poco distante, a Wagha, dove tutte
le sere alle sette i soldati dei due eserciti, entrambi
addestrati dagli inglesi quando questi occupavano l'India,
eseguono la cerimonia dell'ammaina bandiera con movimenti
totalmente speculari. Sul versante indiano la folla
che giunge dai villaggi vicini siede sulle scalinate
come se fosse allo stadio mentre slogan e musiche vengono
diffuse dagli altoparlanti. Lo stesso si replica su
quello opposto dove i supporters dei Rangers si sgolano
gridando "Pakistan Zinda Baad" - Lunga vita
al Pakistan -. e per me questo è l'ultimo il
saluto di un paese aspro, selvaggio ma amichevole. Il
20 Agosto 2003 alle 10,30 passo la frontiera.
Pakistan, lungo la strada
Parte quinta: India
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