LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
IL PRINCIPE EREDITARIO
UMBERTO DI SAVOIA
IN VIAGGIO D’ISTRUZIONE A BRINDISI
17 aprile 1916
Il dodicenne erede al trono nel 1916 fu ospitato nel
castello svevo, accompagnato dal suo precettore, accolto
e guidato dal canonico Pasquale Camassa
Nella prima metà
del ‘900 il castello svevo è stato in diverse
occasioni tappa obbligata di numerose personalità
di rilievo durante il loro transito in città.
Ministri, diplomatici e regnanti sono stati accolti,
visitato ed apprezzato l’antico maniero voluto
da Federico II, ampliato poi dagli aragonesi, nel corso
dei loro passaggi da Brindisi o prima di imbarcarsi
sui piroscafi per raggiunge mete europee o del Mediterraneo.
Tra gli ospiti eccellenti ricordiamo il principe ereditario
Umberto di Savoia, ospite della “Difesa”
una prima volta nel 1916 quando era ancora bambino,
e successivamente con la famiglia reale, alloggiando
nella palazzina comando durante il breve periodo della
sua permanenza a Brindisi, effimera capitale del Regno
del Sud dal settembre 1943 al febbraio 1944.
L'ammiraglio Attilio Bonaldi
con il giovanissimo principe Umerto di Savoia
Della visita del
1916 rimangono purtroppo pochissime informazioni, l’unica
importante documentazione giunta sino a noi sono le
tre immagini d’epoca che vedono il giovanissimo
principe ritratto nel castello insieme ad alcuni militari
e al suo precettore l’ammiraglio Attilio
Bonaldi, il quale dal novembre del 1913 sino
al 1923 assolvette il delicatissimo incarico di sopraintendere
alla sua educazione. In ogni biografia si parla della
rigida formazione militare, “anzi militaresca”,
impartita al principe sotto la guida del conte e ufficiale
di marina, che seguendo scrupolosamente le indicazioni
del re di “forgiarlo con la forza”,
impose disciplina ferrea, ritmi di vita da caserma,
studi severi e continue esercitazioni. In quegli anni
per Umberto non ci fu alcuna scuola pubblica, ma una
decina di precettori coordinati dall’ammiraglio,
tra loro Adolfo Taddei, un insegnante
di grande cultura e di profonda umanità che seguì
i suoi studi di italiano, latino e greco per otto anni,
riconosciuto come “una presenza benefica nella
giovinezza del principe”.
Nei suoi primi anni
di vita invece l'educazione era stata lasciata in mano
alla madre, “donna di gusti estremamente semplici
e casalinghi, dolce e sensibile, verso la quale il figlio
avrebbe sviluppato un legame profondo e un affetto duraturo”,
un rapporto che compensava quello distaccato con il
padre: Vittorio Emanuele infatti aveva
un carattere arido e riservato, probabilmente generato
da alcune frustrazioni legate alla sua scarsa fisicità
e alla modesta statura, ma anche per la formazione eccessivamente
severa impartitagli dal colonnello Egidio Osio,
che poi il re d’Italia aveva imposto anche al
suo unico figlio maschio, l’erede al trono da
istruire come tale, rispettando la tradizione educativa
radicata in casa Savoia. Umberto, com’è
noto, è cresciuto all’ombra del padre e
nel culto del “mestiere di re” che implicava
profondo rispetto verso la volontà del genitore.
Le relazioni tra i due erano regolate dal rigore dell’etichetta
e dalla volontà del sovrano di imporre al suo
discendente un “modello regale di comportamento”,
senza concedergli particolari confidenze, tanto da essere
chiamato “Sua Maesta` mio padre”; Umberto
oltretutto in pubblico si inchinava e gli baciava la
mano come un normale suddito.
Il conte Bonaldi,
che vediamo affianco al giovanissimo Principe di Piemonte
mentre affrettano il passo all’interno del castello
brindisino durante il viaggio d’istruzione avvenuto
il 17 aprile 1916, in una immagine pubblicata nella
rivista “Il Mondo” (collezione Valigia delle
Indie di Brindisi), lo allevò con incredibile
severità e rigidità: Umberto doveva essere
sempre ubbidiente, non doveva discutere gli ordini e
non poteva neanche permettersi opinioni. Secondo alcuni
autori le qualità dell’adolescente non
piacevano al suo austero precettore, in quanto si mostrava
“troppo gentile, cortese, allegro, elegante
e obiettivamente bellissimo”. Il giovane
Savoia era comunque sempre ligio al volere paterno e
al dovere imposto dal Bonaldi, quest’ultimo nonostante
rappresentasse un punto di riferimento, secondo i biografi
era detestato dal futuro regnante, “tanto
da non presentarsi anni dopo al suo funerale”.
Ciò rappresenta un segnale rilevante della personalità
del principe, che non fu mai ipocrita, neanche per salvaguardare
la propria immagine pubblica.
L’altra fotografia
mostra l’erede al trono, all’epoca dodicenne
e con uniforme da cadetto, su uno dei terrazzi del castello,
sempre affiancato dall’onnipresente Bonaldi, dal
canonico brindisino Pasquale Camassa
e da alcuni ufficiali di marina di stanza al castello,
l’interessante scatto è tratto dalla pubblicazione
“Brindisi, la sentinella vigile dell’Adriatico”
del 1918.
Un gruppo di tredici
elementi è ritratto in posa anche nella terza
immagine, preservata sempre nella ricca ed esclusiva
collezione della Valigia delle Indie, che vede al centro
il giovanissimo principe con alla sua sinistra il conte
educatore e alle loro spalle il noto ecclesiastico brindisino,
che svolse nell’occasione la preziosa funzione
di guida al monumento e sicuramente di illustrazione
della millenaria storia della città.
Ventisette anni dopo,
durante i cinque mesi di permanenza a Brindisi (dal
10 settembre 1943 all’11 febbraio 1944), quando
la nostra città diviene sede del governo e capitale
del regno, la presenza del principe Umberto non è
realmente percepita: non partecipa mai agli avvenimenti
di quei mesi, il suo nome non compare tra gli atti e
i documenti, nessuna immagine lo ritrae, la sua posizione
continuava ad essere sostanzialmente marginale, privo
di autonomia decisionale e succube della forte personalità
del padre. Anche il regime fascista aveva contribuito
ad estraniarlo dalla politica attiva, Mussolini
- si dice - lo detestava e lo riteneva limitato nella
personalità, tanto da definirlo “vita
natural durante, Beppo di papà suo”.
Nonostante fosse già sposato con la bella, intelligente
e determinata Maria José, principessa
del Belgio, furono proprio i fascisti a far nascere
e diffondere alcune maldicenze infamanti sul suo conto,
si parlò a lungo di una sua presunta omosessualità`,
gli fu attribuita anche una relazione con il regista
Luchino Visconti e rapporti passionali
con alcuni ufficiali italiani e tedeschi, reputazione
che contrastava con quella di “rubacuori”
che lo aveva reso protagonista delle cronache mondane
della nobiltà europea, e non solo.
Il principe Umerto di Savoia
con la moglie Maria Jose del Belgio
Umberto, entrato nella
storia come il "Re di maggio", l’ultimo
sovrano d’Italia rimasto sul trono per soli trentasei
giorni (dal 9 maggio al 18 giugno del 1946), era stato
tenuto all’oscuro delle trattative e della firma
dell’armistizio e si era dichiarato contrario
alla decisione di lasciare Roma, ma fu costretto a partire,
e quando a Pescara manifestò l’intenzione
di tornare nella capitale gli fu imposto di ubbidire
agli ordini. Negli ambienti monarchici sono ancora convinti
che se il padre avesse abdicato in suo favore subito
dopo la fuga dell’8 settembre, come gli fu consigliato
da molti, forse il regno dei Savoia sarebbe giunto sino
a noi. Ma la storia è fatta da ciò che
è stato effettivamente compiuto, senza se e senza
ma.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.128 del 20/12/2019
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