Monumenti - LA CATENA ANGIOINA
CHE CHIUDEVA IL PORTO
La tipica conformazione
naturale del porto di Brindisi ha sempre avuto un ruolo
determinante nella storia della città, non solo
dal punto di vista economico e commerciale, ma anche
dal punto di vista difensivo.
La singolare forma del porto, che richiama la testa
di un cervo, si è creata a seguito di
numerose alluvioni che generavano fiumi che partendo
dalle colline delle Murge, defluivano nel porto di Brindisi,
formando così un vero e proprio delta. Successivamente
questo fiume prosciugandosi conferì la tipica
forma al porto, con i due ampi bacini (Seno
di Levante e Seno di Ponente)
che abbracciano la città vecchia e che si aprono
verso l’esterno attraverso un canale, oggi denominato
Canale Pigonati (scheda
del porto).
Una delle prime vicende storiche che ha visto protagonista
questo canale fu in età romana, ed in particolare
nel 49 a.C., durante il periodo del I° triunvirato.
Mentre Pompeo si rifugiò a Brindisi
in attesa di imbarcarsi verso l’oriente, Giulio
Cesare cerco di impedirgli la fuga, ostruendo
il canale con massi e zattere, restringendone così
il passaggio. Nonostante questi tentativi, Pompeo riuscì
ad oltrepassare il canale (scheda
storica).
Nei secoli successivi l’insabbiamento di questo
passaggio creò problemi per lo sviluppo del porto,
probabilmente a causa dell’ostruzione operata
proprio da Giulio Cesare.
Stampa della città di
Brindisi - G.B. Pacichelli 1703
Nel 1301, lungo le
due sponde del canale, furono realizzate da Carlo
II d’Angiò due torri.
La torre maggiore era posta sul lato di ponente, ed
era collegata da una catena di ferro
con quella minore, come è ben visibile nelle
antiche piante della città di Brindisi, ad esempio
quella del 1703 di G.B. Pacichelli
o quella del 1663 di J.Blaeu, dove
la città viene erroneamente nominata “Tarento”.
Le due torri avevano degli ingranaggi che permettevano
di tendere la catena e chiudere l’ingresso nel
porto interno, la stessa veniva mollata in acqua quando
una nave si apprestava ad accedere o ad uscire. Questo
tipo di sistema a catene era utilizzato all’epoca
per chiudere gli ingressi di altri porti, come quello
di Trani.
Pianta di Brindisi del 1663 di
J.Blaeu (erroneamente denominata “Tarento”)
Nel XVIII secolo
le mura, le porte, le torri e i bastioni non venivano
più utilizzate per la difesa della città
e molte di esse furono demolite. Nel 1776 Andrea
Pigonati, durante il suo vano tentativo di
“bonifica” del porto di Brindisi, decise
di demolìre oltre all’importante ponte
romano detto Ponte Grande, anche Porta
Reale (nei pressi dell'attuale Piazza E. Dionisi)
e le mura limitrofe, per utilizzare le pietre per la
costruzione dei moli di San Ferdinando
e San Carlo che furono realizzati lungo
i lati del canale. Durante questi lavori furono anche
demolite le due torri Angioine, mentre le loro fondamenta
rimasero sommerse costituendo quella secca che fu denominata
“Secca Angioina”, eliminata
in tempi recenti con l’impiego di mine.
La catena Angioina nel Castello
Svevo
Fortunatamente la
catena fu salvata e conservata nel Tempio di
San Giovanni al Sepolcro, ma nonostante fosse
un bene di proprietà comunale, fu deciso di spostata
all’interno del Castello Svevo
di Brindisi che, come è noto, è ancora
proprietà della Marina Militare.
Oggi che il Castello è stato posto in vendita
dal Ministero della Difesa, al pari di altri 61 immobili
del vastissimo patrimonio immobiliare utilizzato dai
militari, nasce la preoccupazione per le sorti di questa
interessantissima catena.
Per questo motivo il Gruppo Archeologico Brindisino
ha fatto una segnalazione ufficiale al Comune per evitare
che il futuro proprietario del maniero possa eventualmente
rifiutarsi di restituirla, negando ai cittadini il beneficiare
di un’opera storica che appartiene alla città.
Testo di Antonio
Mingolla e Danny Vitale (Gruppo Archeologico Brindisino)
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La catena Angioina. Particolare.
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ph. Mario Carlucci per il Gruppo Archeologico
Brindisino |
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