LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
A BRINDISI L’INCONTRO
TRA I SOVRANI D’ITALIA E DI GERMANIA
12 maggio 1909
La cronaca di una giornata ricordata soprattutto per
gli eventi mondani e non per l’esito politico
Durante la lunga gestazione
che portò allo scoppio della prima guerra mondiale,
le grandi nazioni prendevano accordi e definivano le
trattative in una serie di incontri, informali e propedeutici
a quelli ufficiali, spesso mascherati da colloqui casuali
che venivano organizzati nei periodi e nei luoghi di
vacanza.
Gli storici ricordano l’alta intensità
di riunioni e la presenza sul territorio italiano di
visitatori e di politici legati alla Germania, nazione
a noi coalizzata, insieme all’Austria-Ungheria,dal
patto militare difensivo della Triplice Alleanza, stipulato
a Vienna nel 1882. Uno di questi appuntamenti, programmato
per confrontarsi e per curare gli ormai precari equilibri
politici tra gli imperi alleati, si svolse proprio nelle
acque del porto di Brindisi il 12 maggio del 1909.
Guglielmo II e Vittorio Emanuele
a cavallo
Il re d’Italia
Vittorio Emanuele III e l’imperatore
di Prussia e Germania Guglielmo II
si erano già incontrati a Venezia nel marzo del
1908 e si erano dati appuntamento sulla modernissima
corazzata italiana “Vittorio Emanuele”,
comandata dal dinamico ufficiale di marina Paolo
Thaon di Revel, giunta per l’occasione
a Brindisi insieme ad altre unità navali della
Regia Marina. Purtroppo l’incontro venne funestato
in mattinata dallo scontro tra il cacciatorpediniere
italiano Nembo e lo yacht imperiale Hohenzollern, sul
quale erano ufficialmente in crociera nel Mediterraneo
i sovrani tedeschi, Guglielmo II e Augusta Vittoria,
ed usato dal kaiser peri suoi numerosi viaggi diplomatici.
Il Nembo e le altre navi della Seconda Squadriglia Cacciatorpediniere
(Aquilone, Espero, Dardo e il Bersagliere) si erano
recati al largo per fare da scorta d’onore al
panfilo reale quando, per un errore durante le manovre
di avvicinamento, avvenne la collisione: la nave italiana
riportò danni allo scafo, alle sovrastrutture
e agli organi di governo,e venne poi rimorchiata sino
a Taranto per i lavori di riparazione. “Un
cattivo auspicio per le sorti imminenti della Triplice
e, come ben si sa, i marinai sono sempre molto superstiziosi!
– scrive Ezio Ferrante (2017) - Ma per fortuna
l'Imperatore, che aveva seguito attentamente l'avvicinamento
e le manovre della squadriglia […] non
ebbe difficoltà a riconoscere che la colpa era
stata della sua nave”.
Panfilo reale tedesco Hohenzollern
Dei colloqui ufficiali
tra i due sovrani trapelò ben poco, in una lettera
scritta il giorno successivo da Thaon di Revel si percepisce
l’esito non certo costruttivo dell’incontro,
queste in sinesi le impressioni dell’ufficiale:
"non ho mai visto un atteggiamento così
scontroso da parte dell'Imperatore ed un atteggiamento
del tipo 'je m'en fiche' da parte del re; non hanno
affatto i caratteri compatibili per lo stare insieme;
entrambi sono 'tropfiers' per tollerarsi reciprocamente".
La vicendevole antipatia è diffusamente confermata
dagli studiosi:per Vittorio Emanuele la Triplice è
ormai un "abbraccio soffocante",
vorrebbe presto liberarsene anche per mostrare apertamente
le sue propensioni decisamente anglofile. Inoltre l’imperatore
prussiano - racconta il giornalista e scrittore Sergio
Romano - non mancava, durante i suoi incontri con Vittorio
Emanuele III, di fare commenti salaci, a voce alta,
sulla scarsa statura del Savoia (153 cm), per la quale
fu anche necessario forgiare una sciabola particolarmente
corta che evitasse di strisciare in terra, ciò
gli valse il crudele e poco regale soprannome di "sciaboletta".
Corazzata italiana Vittorio Emanuele
Le cronache dell’epoca
raccontano ampiamente, talvolta in maniera romanzata,
gli avvenimenti mondani di quella ricca giornata, rimasta
memorabile per la città di Brindisi in quanto
preferita, per l’importante convegno, a Bari.
Il Municipio aveva preparato un vistoso e ricco addobbo
che partiva dalla stazione centrale, luogo d’arrivo
del treno speciale dei Savoia, e proseguiva lungo i
corsi Umberto I e Garibaldi, venne inoltre fatto realizzare
da Francesco Avallone un sontuoso “arco
trionfale allo sbarcatoio vicino alla stazione del porto”.
Il pranzo ufficiale si svolse a bordo della corazzata
italiana, “il cui salone venne trasformato
in una ricca serra di fiori freschi, dei quali si fece
una largaincettazione in Provincia”; il menu
presentato fu “molto sobrio ed elegante”
e vide servire, dopo il gradito antipasto di ostriche,
un tradizionale pasticcio di maccheroni alla romana
in un involucro di pasta frolla inzuccherata e ricoperta
da uno strato di crema pasticcera, quindi un mix di
carni “in un’altalena tra terra e cielo”,
con tacchino, vitello e quaglie, accompagnate da un
contorno alla tedesca, con patate e insalata. La colazione
si chiuse con due portate di dolci, il gelato alla siciliana
e la Pasta principessa, e dal brindisi con il noto spumante
italiano prodotto dalla Cinzano.
I reali d'Italia in carrozza
durante la visita alla città il 12 maggio 1909
Dopo aver visitato
i due castelli di Brindisi, i reali tedeschi partirono
per Vienna, mentre Vittorio Emanuele III e la consorte
si trattennero a Brindisi per il resto della giornata.
Durante l’itinerario tra le vie principali del
centro, percorso a bordo di una carrozza trainata da
due cavalli, la coppia regale “bandendo ogni
superfluo apparato di forza” e mostrando
“quella tranquillità e sicurezza che
ha tanto accresciuto le grandi simpatie già esistenti
per la Casa Sabauda”, venne ininterrottamente
omaggiata dalla folla festante.
Nelle prime ore del pomeriggio la regina Elena
chiese di visitare l’ospedale civile (all’epoca
in piazza Duomo), qui “ebbe per gli infermi
le più affettuose parole di conforto, e prese
vivo interesse per il loro stato”. Durante
la visita, la suora che l’accompagnava toccò
la spalla una anziana cieca, annunziando la presenza
di Sua Maestà, la povera inferma rispose in dialetto:
“va beni cà so cicata, ma puru pi paccia
m'atà pigghiari? Giustu giustu a ‘ddo mei
era viniri la Rigina?”. La sovrana “allora
si fece conoscere e con affettuose parole confortò
l'infelice che Le si era gettata ai piedi”.
Da lì si recò al vicino orfanatrofio di
Santa Chiara “dove incoraggiò ed incitò
allo studio ed al lavoro le orfanelle, da cui era sempre
amorevolmente circondata: prodigò a tutte graziose
carezze, e dispose che fossero loro distribuiti, quanti
dolci erano in quel momento disponibili in città”.
Anche durante la visita al Forte a Mare, la seconda
regina d’Italia dimostrò la sua consueta
e popolare umanità: accolse le preghiere del
semaforista Lorenzo Gallo, le cui condizioni
economiche non permettevano di sottoporre ad intervento
chirurgico il figlio Michele, costretto ad utilizzare
le stampelle per un serio problema alla gamba destra,
e dispose l’immediato trasporto a Roma del dodicenne,
orfano di madre, per essere visitato da altri medici.
Prima di lasciare l’isola i Savoia vollero anche
offrire una mancia di cento lire al “basso
personale del forte”. Alle ore 19 i sovrani
d’Italia partirono per Roma salutati da una “nuova
ed imponentissima dimostrazione di affetto”.
Il mattino seguente
la maestosa corazzata Vittorio Emanuele "senza
ausilio dei rimorchiatori e senza stendere una cima,
con magnifica ed ardita manovra attraversa il Canale
Pigonati, entra nel Seno di Levante e vi ormeggia tra
l'ammirazione della folla che estatica gremiva le banchinee
non poteva credere ai suoi occhi”, una operazione
dimostrativa servita a sfatare la leggenda che il porto
interno di Brindisi non fosse utilizzabile per scopi
bellici.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.147 del 9/5/2020
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