LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
IL MERETRICIO
NELLA BRINDISI DELLA FINE SETTECENTO
Nel febbraio del 1771 due giovani donne di piacere e
una coppia che le ospitava furono denunciate
per pubblico scandalo: la loro casa era stata trasformata
in postribolo
Lo spoglio dei documenti
di Archivio spesso porta a riscoprire aspetti poco noti
della vita cittadina legati a particolari fenomeni sociali,
come quello dello sfruttamento sessuale delle donne.
La prostituzione si dice, con eufemismo e arroganza,
sia il mestiere più antico del mondo, anche se
durante il corso dei secoli le vicende legate a questa
attività hanno visto l'alternarsi di momenti
favorevoli a quelli di forte repressione, senza mai
tener conto della questione più rilevante, quella
sui diritti umani e la dignità personale.
Casa di tollerenza nei primi
del '900 (dal web)
Alla fine del Settecento
la nostra città era ridotta ad un "oscuro
villaggio" popolato da poco più di seimila
misere anime che si nutrivano poco e male, affette da
malattie causate della palude malarica presente nel
porto interno. Nel febbraio del 1771, giusto cinque
anni prima dell'inizio di quei controversi lavori di
bonifica affidati dal regime borbonico al tenente colonnello
Andrea Pigonati, furono presentate ben due denunce riguardanti
la condotta scandalosa di "femmine di malaffare"
che si offrivano nell'esercizio del meretricio all'interno
della loro casa. Viste le condizioni di indigenza estrema,
è difficile affermare se in quegli anni la prostituzione
femminile si esercitava anche in luoghi ben precisi
sotto il controllo delle autorità cittadine,
così come avveniva da almeno quattro secoli in
numerose altre località, ma sicuramente l'evidente
povertà aveva spinto alcune donne a praticare
questa miserevole professione in forma sommersa, accogliendo
i clienti nelle proprie abitazioni. Oltretutto, già
dalla metà del secolo, in tutta la nazione si
stava diffondendo in maniera preoccupante l'infezione
di sifilide, l'emblematica malattia sessualmente trasmissibile,
che portò ad una prima regolamentazione del "mestiere"
sia sul piano etico che sanitario.
Il 6 di febbraio del
1771 tre privati cittadini, Pascale Fari, Francesco
Lavattona e Francesco Miglietta, si costituirono
in maniera spontanea alle autorità locali, riuniti
nella nobiliare dimora del barone Francesco Laviano,
e sotto giuramento denunciarono la presenza di una "casa
di malaffare" proprio nei pressi della chiesa
dell'Annunziata. La faccenda era "cosa pubblica
e notoria per tutta questa città" già
da un certo tempo, tanto da suscitare pubblico scandalo.
I fatti riguardarono una certa Arcangela C. e
suo marito Giuseppe Cataldo O. che da un paio
di anni occupavano una abitazione situata nel largo
davanti alla parrocchia vicariale, non lontano dalle
residenze dei tre dichiaranti. La donna definita "di
mal'odore", col consenso e la volontà
del coniuge, originario di Francavilla ma "accasato"
a Brindisi da oltre venti anni, accoglieva nella loro
casa "giovanastri scapestrati, e farceli stare
di notte e di giorno et à solo à solo
con la moglie, mentr'egli se ne andava per non esserli
mai troppo piaciuta la fatica, né la sua professione
di sartore". L'uomo negli ultimi tempi sembra
"si fosse dato a fare il cavallaro"
e a "servire il Magnifico D. Giuseppe P. di
Ostuni, Sopraguardia di questa Marina". In
aggiunta i consorti "si avevano ritirati ad
abitare con loro" due giovani donne, "nipoti"
di lei, Gaetana P. e Anna Vittoria G.,
entrambe già diffamate: "motivo perciò
la casa di detti coniugi è stata la Casa del
Pubblico scandalo e del meretricio" si legge
nella denuncia sottoscritta alla presenza del notaio
Tommaso Oronzo Sambrino.
Era risaputo, inoltre,
che la giovane Gaetana "pratticava pubblicamente"
il mestiere già da tempo proprio con la Sopraguardia
ostunese, e insieme all'altra ragazza accoglieva giornalmente
anche "giovinastri d'ogni sorta di cittadini
e forestieri, marinai e soldati" di passaggio,
indirizzati da colui che si occupava della difesa del
porto, talvolta accompagnati giustappunto dal "capo
famiglia" Giuseppe Cataldo. Lo stabile, insomma,
si era ridotto ad un pubblico postribolo con enorme
vergogna di tutto il vicinato, che era costretto a sopportare
questo continuo andirivieni di persone di ogni ceto
sociale. Ovviamente le abitudini della losca famiglia,
per mezzo dell'avviata professione, si erano radicalmente
trasformate: "mangiavano e bevevano bene"
e le "Figliole" apparivano meglio vestite.
Le due ragazze, entrembe "senza padre, senza
madre, senza parenti di onore, e senza essere maritate",
per la loro attività di "Donne libere
e scandalose" furono ancora una volta denunciate
sotto giuramento cinque giorni dopo, l'11 febbraio 1711,
da Rosa Vernaglione, Serafina Miglietta,
Nunzia Versiente, Carmina del Giudice
e da Francesco Piliego. Anche in questa occasione
a raccogliere la libera testimonianza "et sub
verbo veritatis" nel vicino Palazzo Laviano
vi erano il giudice Giuseppe Oronzo Antonelli
e Tommaso Pagliara, oltre al barone e al regio
notaio Sambrino. Le dichiaranti affermarono che le ragazze
continuavano ad esercitare il meretricio nonostante
la "tante caritative ammonizioni fatte alle
medesime dal reverendo arciprete e i reverendi parroci",
costoro usarono la carità di "darle il
Precetto Paschale, perché si dimostrarono emendate
per due in tre mesi". Il comportamento quotidiano
delle donne scandalizzava fortemente tutto il vicinato,
anche perché veniva esercitato proprio dinanzi
al Santissimo Sacramento esposto nella chiesa parrocchiale
dell'Annunziata e che le "sta continuamente
davanti ai loro occhi".
In quell'anno la mappa
dello Stato delle Anime contava solo 6.438 abitanti
nella città governata dal nobile Gregorio Leanza,
di essi 978 quelli risiedevano in quel rione della collina
a ridosso del Seno di Levante, che in passato e per
secoli era stato popolato dalla comunità ebraica.
Il resto della popolazione abitava nell'area della parrocchia
Cattedrale (2.865), circa mille e cinquecento vivevano
nella zona parrocchiale di Sant'Anna (san Benedetto)
e poco più di un migliaio ricadevano in quella
di Santa Lucia. Metà della popolazione era costituita
da religiosi e le donne erano più degli uomini,
ma il dato che sorprende maggiormente è l'alta
mortalità neonatale: in quel tempo su circa trecento
nascite annue, i bimbi che non riuscivano a superare
i primi mesi di vita erano più di cinquanta.
L'esercizio della prostituzione, intesa come prestazione
sessuale retribuita ed esercitata come "mestiere"
da parte di un soggetto umano socialmente svalutato,
purtroppo non si è mai interrotta, la ricerca
del piacere e del diletto dalle carne è stata
quasi sempre una prerogativa maschile, e anche dopo
la "svolta" del 1958 con la Legge Merlin,
che sancirà la definitiva chiusura delle case
di tolleranza, è proseguita nella clandestinità,
tra silenzi e grande ipocrisia. A Brindisi, nel secondo
dopoguerra, hanno continuato ad esercitare alcune meretrici
rimaste poi nella memoria storica cittadina, come Filomena,
le sorelle Leda e Lisetta, Esterina e, la più
famosa di tutte, Maria la Brindisina. Ancora oggi, purtroppo,
questo problema sociale e di coscienza continua a non
trovare una degna soluzione, restano sempre le stesse
sofferenze, gli abusi e le violenze di un tempo.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.266 del 9/9/2022
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