LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
Gennaio
1927
BRINDISI DIVENTA CAPOLUOGO DI PROVINCIA
La nascita e i primi passi
della nuova amministrazione fortemente voluta da Mussolini
Con il “Riordinamento delle
Circoscrizioni Provinciali” del Regio Decreto
Legge n. 1 del 2 gennaio 1927 Brindisi divenne uno dei
diciassette comuni capoluogo di una nuova provincia
italiana. L’istituzione venne ufficializzata sulla
Gazzetta Ufficiale del Regno l’11 gennaio dello
stesso anno.
In questo modo si completava il processo di disgregazione
dell’antica circoscrizione storica della provincia
della Terra d’Otranto, risalente al Regno di Sicilia
(1130), uno smembramento iniziato sul piano economico
nella seconda metà dell’Ottocento e proseguito
con l’istituzione della provincia di Taranto,
avvenuta il 2 settembre del 1923. Al momento dell’unità
d’Italia infatti, Brindisi insieme a Lecce, Taranto
e Gallipoli era a capo di uno dei quattro Circondari
che componeva l’intero territorio provinciale,
con sede amministrativa nel palazzo dei Celestini di
Lecce.
L’annuncio dell’istituzione venne anticipato
al sindaco di Brindisi, Serafino Giannelli,
già il 6 dicembre del 1926 con un telegramma
del Primo Ministro Benito Mussolini,
che così recitava: “Su mia proposta
il Consiglio dei Ministri ha elevato codesto Comune
alla dignità di Capoluogo di Provincia. Sono
sicuro che col lavoro, con la disciplina e con la fede
fascista, codesta popolazione si mostrerà sempre
meritevole dell’odierna decisione del Governo
Fascista”. Per il Capo del Governo Brindisi
doveva rappresentare “la rinnovata vita italiana”
e possedere “tutto ciò che serve ad affermare
la occidentale e latina potenzialità costruttiva
dell’idea fascista”. Il giorno stesso
il sindaco Giannelli “con la più viva
commozione” volle comunicare l’importante
notizia alla cittadinanza, in molti scesero in piazza
ad inneggiare con grande entusiasmo il re, il Duce e
il regime. Al primo cittadino, invitato al Viminale
in 15 gennaio insieme ai rappresentanti di Lecce e Taranto,
Mussolini volle motivare l’importante decisione
scaturita “… per i meriti acquisiti
dalla Città durante la guerra mondiale, per cui
ho deciso che debba sorgere a Brindisi il Monumento
al Marinaio italiano; perché il suo porto, conosciuto
da tutti i navigatori del mondo, è ritenuto il
più sicuro di tutti i mari e di tutti gli oceani;
perché Brindisi è destinata ad un’alta
missione per la nostra espansione; ed infine perché
Brindisi, potente al tempo dell’Impero romano,
dovrà ritornare al suo antico splendore. E però
non è senza significato che oggi la Città
riprenda il posto che le compete nella storia d’Italia,
la quale, per volere della Suprema Divina Provvidenza,
potrà avere delle eclissi, ma non potrà
mai piombare nelle tenebre della notte”.
Il manifesto che annunciava la
nuova provincia e il giornale dell'epoca
Già l’11 dicembre 1926
giunse in incognito il primo Prefetto nominato, il dott.
Ernesto Perez, originario di Palermo
ed avviato ad una brillante carriera, venne presentato
dalla stampa locale come “un uomo che a noi occorreva:
un funzionario energico, fattivo e dotato dei più
sani principi di equità e giustizia”. Come
alloggio fu restaurato il Palazzo Montenegro acquistato
per 460 mila lire (“pagabili in dieci annualità
uguali e con l’interesse scalare del 3%”)
dalla compagnia inglese di navigazione Peninsular &
Oriental Steam Navigation Company, proprietaria dei
piroscafi della Valigia delle Indie, che aveva apposto
il proprio simbolo del “sole nascente” sulla
parte semisferica sopra il portone d’ingresso
dell’importante edificio, elemento rimasto ancora
oggi ben visibile. Per arredare l’appartamento
furono spesi 187 mila lire.
Dopo la cerimonia di festeggiamento
organizzata nel Teatro Verdi, gremito in ogni ordine
di posto e con i palchi addobbati con le bandiere tricolori,
il 12 gennaio ebbe inizio la “vita legale”
della nuova Provincia di Brindisi con la nomina della
la Commissione straordinaria che doveva reggere l’ente
per ventotto mesi, con a capo il viceprefetto Antonio
Mancarella e i componenti Angelo Titi,
Vincenzo Fiori (futuro presidente della
Provincia dall’11 aprile 1961 al 15 febbraio 1965),
Corrado Panico Sarcinella (poi podestà
della città), Gerardo Dentice di Frasso,
Antonio Pasimeni ed Emilio
De Marco. Tutti (ad esclusione dei primi due)
furono poi nominati nell’aprile del 1929 rettori
della prima Amministrazione Provinciale a guida di Giuseppe
Simone, in qualità di Preside. Tutte
le cariche erano di nomina regia e gratuite, solo eccezionalmente
erano previste indennità per il Preside e vicepreside.
La prima pianta organica della Provincia prevedeva solo
quattordici unità, di cui facevano parte il segretario
generale, dieci impiegati (segreteria, ragioneria e
tre tecnici), un messo, un inserviente e due portieri.
Teatro Verdi. Cerimonia elevazione
di Brindisi a capoluogo di provincia
I comuni che istituirono la nuova
Provincia furono quelli che facevano già parte
del precedente circondario, con l’aggiunta di
Cellino San Marco, San Pietro Vernotico e Torchiarolo,
provenienti dal circondario di Lecce, e di Cisternino
e Fasano, staccati dalla provincia di Bari. Tre mesi
dopo (marzo 1927) furono riaggregati alla provincia
di Lecce Guagnano, Salice Salentino e Veglie che già
facevano parte del circondario di Brindisi. L’anno
successivo con la costituzione del comune autonomo di
San Michele Salentino, già frazione di San Vito
dei Normanni, la provincia assumeva l’aspetto
e la dimensione attuale, con venti comuni e l’estensione
complessiva del territorio pari a 1.868 kmq, di questi
il 97% era superficie agraria e forestale, dove in prevalenza
(il 49,2%) era coltivata a vigneto e oliveto.
Solenne documento di concessione
dello stemma e del gonfalone a firma del re, a dx lo
stemma della provincia
Le prime riunioni della Commissione
furono tenute nel salone dell’ex Sottoprefettura,
in piazza Dante, dove venne avviato un lavoro economico-amministrativo
abbastanza arduo e complesso per la separazione patrimoniale
e per il riparto delle attività e delle passività,
in cui fu coinvolta principalmente la provincia di Lecce,
ma anche le amministrazioni di Bari e Taranto. Successivamente
le riunioni si tennero dapprima a Palazzo Montenegro
e quindi in alcuni locali di Palazzo Di Totero, al civico
28 di viale Regina Margherita, nel frattempo si deliberò
la costruzione del nuovo Palazzo della Provincia da
realizzare sull’area occupata dal giardino ad
est del palazzo della Sottoprefettura e da alcune vecchie
casupole presenti su via De Leo e piazza dell’Impero
(poi Santa Teresa), da acquisire e demolire. L’edificio,
costato 560 mila lire e ultimato nel 1936, venne successivamente
ampliato e sopraelevato con un secondo piano.
Il primo bilancio approvato, quello relativo al 1927,
si chiuse positivamente con un avanzo di amministrazione
di ben 28.587,15 lire, dove le maggiori entrate (complessivamente
pari a poco più di cinque milioni di lire) venivano
principalmente dalla sovrimposta sui terreni e sui fabbricati.
Tra le uscite una voce più rilevante era rappresentata
dalle spese per l’igiene e la profilassi di malattie
infettive, tra cui la malaria, per il quale vennero
utilizzate quasi 140 mila lire al fine acquistare il
chinino, farmaco assolutamente necessario poiché
la nostra provincia risultava essere tra le più
intensamente malariche d’Italia, e per la prevenzione
e la cura della tubercolosi, dove la nuova amministrazione
contribuì quello stesso anno con una spesa di
70 mila lire utile al funzionamento delle colonie estive,
una somma che andò ad aumentare negli anni successivi
per la realizzazione e la gestione di dispensari e preventori
permanenti per bambini gracili e predisposti alla tisi.
Il Palazzo della Provincia
Nel 1928 la popolazione provinciale
contava 229.348 residenti, di questi circa 39 mila erano
i brindisini, seguiva Ostuni con circa 25mila abitanti,
quindi Fasano e Francavilla Fontana con i loro 19 mila
residenti, ed ancora Mesagne (15 mila) e San Vito dei
Normanni (14 mila). Alla fine del 2018 la popolazione
su tutto il territorio provinciale era di 392.975, ma
il picco massimo raggiunto è stato di 411.314
abitanti, dato Istat relativo al 1991.
Dopo novantatre anni di storia fatti di numerosi interventi
su strade, edifici, plessi scolastici, ospedali e tanto
altro ancora, oggi l’ente, quello delle Provincie
italiane in generale che per anni considerato simbolo
dei cosiddetti carrozzoni inutili ed oggetto di tanti
tentativi di riforma e di abolizione, si trova svuotato
di poteri, con competenze e fondi limitati e con organici
desertificati. In attesa di una definitiva riforma che
permetta almeno di continuare a rivestire il ruolo fondamentale
per le funzioni di competenza.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.129 del 3/1/2020
|