STORIE E TRADIZIONI
IL
PRIMO INGRESSO IN CITTA' DEL VESCOVO, A CAVALLO
In passato il primo ingresso in città della massima
autorità religiosa,
avveniva in groppa ad un cavallo
E’ usanza religiosa tipicamente
brindisina quella che l’arcivescovo di Brindisi
cavalchi un bianco destriero, e non solo in occasione
del Corpus Domini. Già da tempi antichi il primo
ingresso in città della massima autorità
religiosa locale avveniva in groppa ad un cavallo, partendo
da una antica chiesa situata oltre le mura del centro
abitato, con il popolo e le autorità civili e
religiose in corteo ad accompagnare, con grande partecipazione
emotiva, il presule durante la solenne cerimonia.
Il rituale rispettava una rigorosa tradizione secolare
dove fede, spiritualità e cultura popolare si
ripeteva scrupolosamente nell’omaggiare l’investitura
del nuovo arcivescovo. Questi attendeva l’arrivo
della popolazione e del clero generalmente presso la
chiesa di san Leucio, la grande basilica
che era in contrada Cappuccini, nei pressi dell’odierno
edificio dell’ex ospedale “Di Summa”.
La chiesa era il più importante tempio religioso
della città insieme al Duomo, fu eretta dall’arcivescovo
Teodosio nel IX secolo sul luogo dove il primo vescovo
della città avrebbe battezzato, in una volta
sola, 27 mila brindisini. Ebbe funzione di cattedrale
sino al 1143, quindi fu convertita in titolo abbaziale
prima di essere distrutta nel 1720 e il materiale utilizzato
nella costruzione del palazzo del Seminario (link).
Talvolta, in epoche più remote, il rito di entrata
in possesso dell’arcidiocesi brindisina iniziava
dalla chiesa di contrada Gallico (oggi
conosciuta come Jaddico), un toponimo derivante dal
un termine di origine longobardo che significa “foresta”,
ovvero il bosco nel quale era immerso l’antico
edificio attribuito ai Canonici del Santo Sepolcro.
Il Vescovo a Cavallo (Corpus
Domini 1904)
La cerimonia di insediamento dei nuovi
arcivescovi era sempre particolarmente intensa e fastosa:
una volta giunti alla chiesa fuori città, il
clero, le autorità ed il popolo incontravano
il nuovo vescovo vestito in cappa magna, l’abito
religioso con strascico posteriore lungo alcuni metri,
solitamente indossato durante le cerimonie liturgiche
più solenni. Il presule in sella ad un cavallo,
veniva accompagnato in processione sino a Porta
Mesagne, dove - smontato dal cavallo - entrava
nella chiesa del Carmine (link)
lo in quella attigua dei padri agostiniani,
ubicate rispettivamente di fronte e di lato all’attuale
Calvario. Qui indossava gli abiti pontificali e riprendeva
la strada, sempre sul destriero, che lo portava alla
sede episcopale.
Le cronache settecentesche descrivono
con dettaglio l’insediamento del frate carmelitano
spagnolo Alfonso Alvarez Barba Ostorio, che giunse in
città il 22 febbraio del 1673, dopo una sosta
forzata di due giorni ad Ostuni causata da un’abbondante
nevicata. Questi si recò direttamente al palazzo
episcopale, in quanto “venne senza la bolla”
pontificia, e dovette attendere circa cinque mesi prima
della sua investitura ufficiale, che ebbe luogo il 19
di luglio: una volta ricevuti i sigilli dal Vaticano,
l’arcivescovo nominato si recò alla chiesa
di San Leucio “e con le solite cerimonie se
li pose la cappa magna e il cappello arcivescovile,
e uscendo da detta chiesa, si pose a cavallo con seguito
di tutto il popolo, avendoseli fatto una salva di cannoni,
e moschettarie, e scavalcato avanti la chiesa del Carmine,
entrò, e si vestì con abiti pontificali,
e uscito si pose a cavallo sotto il paglio, l’aste
del quale le portavano li nobili, ma quella di dietro,
della mano dritta, fu sempre portata dal sindico (Carlo
Polito) sino all’arcivescovato, conforme all’usanza
antica, che così s’ha pratticato andando
processionalmente con tutto il clero, e conventuali,
conforme il solito”.
Mons. Francesco De Filippis durante
la processione a cavallo del 1945
La solenne cerimonia del primo ingresso
in città si è ripetuta quattro anni dopo,
in occasione dell’insediamento di Emanuele de
Torres, anch’esso spagnolo. L’arcivescovo
“venne a cavallo sino alla porta, ove giunto
scavalcò, e baciando la croce entrò nella
chiesa de padri agostiniani”, edificio sacro
facente parte del complesso monastico di Santa
Maria delle Grazie (link),
fondato probabilmente già nel XIII secolo ed
ubicato all’imbocco dell’attuale via Santa
Margherita, proprio affianco al Calvario. Una volta
vestito con abiti pontificali “si pose a cavallo
sotto il pallio, l’aste del quale furono portate
dal sindico e nobili, e andò all’arcivescovato,
e la città li fece una salva di cannoni, e moschettaria”.
Il primo giugno 1681 a salire sulla
cattedra arcivescovile brindisina fu Giovanni Terresiglia
y Cordines, anch’egli – racconta sempre
la cronaca – “pigliò il possesso
con fare l’entrata sontuosa nella città”
ponendosi a cavallo sotto il baldacchino. Il cerimoniale
si ripete il 15 maggio del 1689 con l’arrivo di
un altro spagnolo, il domenicano Francesco Ramirez,
che dopo essere giunto alla chiesa di sant’Agostino,
scese da cavallo per baciare la croce presentatagli
dall’arcidiacono, entrò in chiesa “dove
vestendosi pontificalmente, si pose a cavallo sotto
il pallio portato da nobili, e due altri nobili portavano
il freno del cavallo, e con sparo dell’artiglieria”
si recò al palazzo arcivescovile.
Il suo successore, l’agostiniano
Barnaba de Castro, fece il suo ingresso solenne il 5
novembre del 1702, quasi due anni dopo la sua designazione
a vescovo della città, un ritardo causato, anche
in questo occasione, dal mancato arrivo delle bolle
pontificie.
Mons. Settimio Todisco durante
la cerimonia del Corpus Domini
L’entrata pubblica dell’arcivescovo
Paolo de Vilana Perlas avvenne il 18 maggio del 1716,
la cerimonia di insediamento coincise con i numerosi
festeggiamenti avvenuti durante quel mese in onore della
nascita dell’erede al trono, Leopoldo Giovanni
d'Asburgo, ai quali partecipò anche il nuovo
arcivescovo, che per l’occasione “intonò
il Te Deum, e cantò la messa a musica con centenara
di mortaretti”.
Nell’aprile del 1725 “fece
ingresso pubblico come al solito, e costume antico”
l’arcivescovo Andrea Maddalena, che fece parlare
di se anche per aver sedato una futile lite tra nobili
e clero, una disputa su chi doveva portare l’ombrella
in broccato d’oro durante la processione del Corpus
Domini: il parasole che aveva sostituito da qualche
anno le due ombrelle fatte di penne di pavone, ormai
deteriorate, spettava per l’occasione ai reverendi
Michele Candelaro e Cesare Tarantafilo, ma visto che
erano di statura bassa e non riuscivano a proteggere
il vescovo a cavallo, fu portata dal nobile Stanislao
Monticelli, questi pretese di portarla anche il “giorno
dell’ottava”, come di consueto avveniva,
causando una discussione tra nobili e clero, pertanto
l’arcivescovo Maddalena “per sedare
il romore […] la portò lui medesimo”.
L'arivescovo Rocco Caliandro
a cavallo durante il Corpus Domini
Dalle cronache del tempo si traggono
tante similitudini tra la processione di insediamento
dell’arcivescovo e quella del Corpus Domini, un'antica
tradizione che ha origine nel 1254 e rimasta l’unica
a svolgersi con regolarità. Questi suggestivi
momenti di cultura della fede erano spesso intrisi di
spettacolarità, che in buona parte si sono persi
nel tempo, conservando integra la solennità religiosa
dell’evento.
Sarebbe il caso di adeguare la suggestiva memoria del
cavallo parato, sempre che si decida di mantenerla dopo
l’incidente avvenuto il 3 giugno 2018, curando
con più attenzione la sicurezza ma anche l’abbigliamento
di chi tiene le redini del cavallo (palafrenieri), evitando
t-shirt colorate, pantaloncini e jeans. In passato queste
figure hanno sempre indossavano abiti più consoni
a tale ruolo, in primo luogo per rispetto al Santissimo
Sacramento, portato in processione per le vie principali
della città.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.52 (15 giu.
2018)
|