LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
Brindisi capitale,
i giorni del re in città:
una disputa storica che ancora divide, da ottant'anni
ad oggi
di Mimmo Tardio
Esattamente 80 anni fa, era il 10 settembre
1943, Brindisi diventava capitale d'Italia. Al netto
delle scontate dispute storiche, considerando che di
fatto era la capitale del regno del sud, l'Italia ancora
in guerra dopo l'armistizio del''8 settembre 1943, mentre
dalla Campania e sino al nord ancora di lì a
poco avrebbero scorazzato i nazisti ed i repubblichini
protofascisti della repubblica di Salò, di fatto
Brindisi fu la capitale ufficiale dell'Italia liberata
e sede del governo italiano.
Un anniversario che ancora divide
A dirla tutta, la nostra terra, Salento e Puglia in
generale, fecero le prime prove d'una rinascita democratica
e di effervescenza politica ed ideale, si vedano i congressi
sindacali, gli incontri politici, insomma la ripresa
della vita libera, che proprio nella nostra terra rinacque.
Punto e basta. E lo fu, sempre al netto delle disinformazioni
sin troppo diffuse, anche strumentalmente per diminuirne
il valore, ( "è stata capitale per 1 giorno!",
ancora in molti, anche "acculturati" dicono),
sino all'11 febbraio 1944.
L'ammiraglio Rubartelli
saluta il re Vittorio Emanuele
III al Comando Marina di Brindisi
L'arrivo del re e la nuova capitale
Le storie. In quel 10 settembre, era un classico pomeriggio
settembrino, venerdì, "tiempu ti fichi",
l'Ammiraglio Luigi Rubartelli era stato a lungo a pensarci
su, se quel messaggio sibillino ricevuto in codice,
sull'arrivo a Brindisi del Ministro della guerra, il
conte Raffaele de Courten fosse vero. Poi a fugare i
suoi dubbi fu un particolare che solo tra pochi il ministro
sapeva, suo vecchio compagno all'Accademia navale di
Livorno, ovvero dell'appellativo a lui riservato, "Buttiglione",
che i compagni di corso gli riconoscevano. Però
quando il quel fatidico 10 settembre spuntò già
annunciata l'imbarcazione corvetta "Baionetta",
con l'incrociatore "Scipione l'Africano" nel
porto brindisino, Rubartelli, poi salito a bordo, si
trovò davanti, oltre al ministro, anche il re
Vittorio Emanuele III, la regina Elena ed il principe
Umberto, attorniati dal capo del Governo Pietro Badoglio
e da uno stuolo di ministri, per poco non gli pigliò
un colpo.
Un periodo tragico
Il Re con i suoi soliti modi ruvidi e sbrigativi chiese
subito all'ammiraglio se a Brindisi vi fossero ancora
i tedeschi e se persistesse pericolo di mine. Rassicurato
fece per scendere, col suo seguito, ma per fortuna Rubartelli
aveva fatto appena in tempo ad inviare un marinaio ad
avvisare la sua famiglia di sloggiare dal Castello di
terra, loro momentanea abitazione, visto che ne prendevano
possesso il Re ed il Governo. Questa è la prima
sequenza di questa ricostruzione narrata qui, altre
seguiranno, tutte da inquadrare in un puzzle che come
in un piccolo caleidoscopio raccontano comunque quei
tragici mesi. Perchè è incontrovertibile
che, per l'Italia, già sconvolta dai bombardamenti
degli alleati e dall'occupazione violenta nazi-fascista,
dalle notizie della nostra ormai certa disfatta in guerra,
che quel che seguì alla firma dell'armistizio
il 3.9.1943 a Cassibile in Sicilia e poi alla colpevole
pubblicizzazione della sua firma, a mezzo radio e all'insaputa
del nostro esercito e di tutti fatta l'otto, diede origine
al più terribile e tragico periodo per il nostro
paese, non solo del Novecento. E forse la poco opportuna
fuga, di questo si trattò: punto e basta!, dei
reali e del governo da Roma verso Brindisi, passando
per Ortona/Pescara, senza prima pensare almeno ad organizzare
minimamente l'esercito italiano ed il paese, nel suo
complesso, insomma "alla sicurduna", è
stata una di quelle scelte storiche che da allora peseranno
sulla storia del paese.
ll re Vittorio Emanuele III durante
una messa celebrata al campo di aviazione
L'errore strategico del re
Basterebbe aggiungere, da quel che poi se ne è
saputo, che pare che Umberto di Savoia, che si sentiva
anche militare, aveva frequentato l'Accademia navale
della Nunziatella, avesse chiesto al padre di autorizzarlo
a raggiungere i monarchici, militari e non, che si sapeva
erano confluiti già nella Resistenza. Vittorio
Emanuele III oppose un no categorico, poco lungimirante,
se è vero che sicuramente se Umberto si fosse
messo alla guida dei monarchici che combattevano il
nazi fascismo, le quotazioni per la Monarchia sarebbero
state più alte, quando il 2 giugno 1946 gli italiani
scelsero la Repubblica, che vinse con 12 milioni di
voti contro i 10 milioni e 800 della Monarchia.
La Monarchia era già molto compromessa,
chissà se quel non non abbia pesato
La fuga
comunque acuì alla grande le tragedie per gli
italiani.
ll re Vittorio Emanuele III con
il maresciallo Pietro Badoglio
I rapporti con i locali
Ecco perchè, per esempio, come racconta il bravissimo
storico locale brindisino Antonio Mario Caputo, si ebbe
il caso a Brindisi dell'incontro prima ruvido e poi
più "diplomatico", tra "Mestru
Cosimu Selicato", valente meccanico d'auto operante
al centro della città capoluogo ed il Re d'Italia.
Si racconta che il maestro scarabocchiasse certi suoi
appunti in officina, quando un suo collaboratore, Ventura
Mangiullo, gli comunicò "sta vvau, m'annu
chiamatu pi nna riparazione", al quale sovrapensiero
Selicato ribatte : "non ffa' tardi!". Il problema
all'auto riguardava addirittura quella di Vittorio Emanuele
III e quando l'operaio si era messo al lavoro da ormai
sin troppo tempo fu Selicato poi ad accorrere e visto
che era "ti lu re", prima gli scapparono certi
sapidi e irripetibili moccoletti, non proprio benefici,
nei confronti del sovrano, poichè lo aveva associato
subito al figlio disperso in guerra; salvo poi quando
il re "sciaboletta" si erse, si fa per dire
in tutta la sua maestà in piedi, scendendo dall'auto,
il buon maestro, con troppo italica ipocrisia, scattò
in piedi e disse: "Cce cumanni assignuria maestà?".
ll re Vittorio Emanuele III
La fine delle leggi razziali
E come non ricordare poi quell'agente portato a Brindisi
col seguito reale, Dick Mallavy, inglese, che a nome
degli alleati, 007 ante litteram, con la sua potente
ricetrasmittente comunicava ai comandi angloamericani
le mosse di re e governo? E se a Bari nasceva la mitica
"Radio Bari", con l'aiuto degli alleati, (si
ricordi questo periodo ripensando al grande film di
Alberto Sordi con Monica Vitti, "Polvere di stelle"),
a Brindisi si stampava la Gazzetta ufficiale delle leggi
presso la vecchia tipografia Ragione. Nella città
capoluogo si mise fine ufficialmente, per legge, all'infamia
delle leggi razziali, contro gli ebrei del 1938; qui
venne dichiarata finalmente ed ufficialmente guerra,
troppo tardi, contro i tedeschi, considerato che loro
la iniziarono subito e sin troppo cruenta e soprattutto
contro le popolazioni civili, appena sentito il comunicato
radio sull'armistizio dell'otto settembre.
La coppia reale
L'amore per la regina Elena
E a Brindisi e nella nostra terra anche le piccole ed
a volte anche tenere storie acompagnarono quesi mesi.
La vita, si sa, alterna, anche nel corso delle bufere
più terribili, storie tragiche a storie più
edificanti. Come fu quella, ad esempio, della bravissima
Regina Elena, da subito amata a Brindisi e dintorni,
per il suo umanitario filantropismo: si recava a portare
conforto e doni presso le orfanelle e negli ospedali,
costruiva da sola bambole per i figli dell'Ammiraglio
Rubartelli e si concedeva pure qualche vezzo. Amava
i cappelli, per cui individuata una bellissima e brava
cappellaia, dal nome dolce, ovvero Geisha Perugino,
visitò il suo laboratorio, al centro di Brindisi,
la invitò al castello Svevo e lei stesso disegnò
dei vezzosi cappellini " a cloche", sui modelli
che la sovrana aveva ammirato sulla stampa della famosa
modista francese Caroline Reboux. Cappellini che Geisha
realizzò con risultati bellissimi, che la Regina
Elena apprezzò molto. Ancora molti anni dopo
Geisha a chi improvvidamente le chiedeva quanto avesse
guadagnato da questi lavori per la sovrana rispondeva,
alzando sdegnosa le spalle, quasi inorridita: "Niente,
ci mancherebbe, solo il grande piacere di servire la
mia Regina!". Altro che!
Sincronie storiche
Chi invece ebbe un rapporto più importante con
la Regina Elena furono due freschi sposi, di Francavilla
Fontana, Maria Bungaro e Totò Tardio, che poi
sono i genitori di chi qui scrive e, per dirla con Baricco
in "Novecento", questa è la sua "buona
storia", senza la quale non sarebbe nata la sua
famiglia. Questi avevano realizzato la loro fuitina
d'amore proprio l'8 settembre '43, nelle campagne francavillesi
e proprio questa evenienza della stessa data della fuga,
per ragioni diverse, da Roma verso Brindisi, della regina
e degli altri come di loro, destò la grande curiosità
della sovrana. Fu quando casualmente, i due sposini
in autarchico viaggio di nozze, su uno "sciarabbà",
un calesse, nei dintorni di Oria, incontrarono la Regina
Elena, nei pressi di una fresca fontanina; costei chiese
chi fossero ed appreso che erano scappati pure loro
in quella storica data e che poi aspettavano di già
un bambino, decise di passare qualche ora con loro,
su un grande plaid e seduti su sedie da campo messe
dagli attendenti. Si narra che la Regina sorrise molto
al racconto dei due ed apparve molto più rinfrancata,
tanto che esternò a Maria e Totò la grande
ambascia che aveva nel cuore, pure commuovendosi: ovvero
dell'arresto della loro figlia, la principessa Mafalda,
che si trovava nel lager di Buchenwald, vicino Weimar.
Dove poi morì nel 1944.
ll re Vittorio Emanuele III con
la regina Elena
La storia e le storie
Alla fine del loro incontro Maria regalò alla
Regina Elena una poesia di Giuseppe Ungaretti, "Veglia",
che lei aveva ritagliato dal suo sussidiario a scuola.
In segno di speranza, perchè dalla guerra potesse
nascere l'amore per la vita; promettendole anche che
se fosse loro nata una bambina l'avrebbero chiamata
Mafalda. Ed è quel che fecero. Anzi quando appresero
nel 1952 della morte della Regina Elena a Montpellier
in Francia decisero, Maria, Totò e Mafalda, che
aveva già 8 anni, di andare in quella città
francese a mettere un fiore sulla tomba della sovrana.
Proprio mentre pregavano su quel simulacro il caso volle
che un omone anziano ed elegante venisse verso quella
tomba per mettervi, proprio in quel giorno, una grande
cornice d'oro, con dentro la poesia di Ungaretti, che
Maria aveva donato nel 1943 alla Regina Elena e che
questo era stato un profondo desiderio di Elena di Savoia,
poi affidato al suo maggiordomo personale e che questo
ora esaudiva. Ecco come la Storia convive da sempre
con le Storie, l'una confluente nelle altre, in un inestricabile
groviglio di tragedie e serenità. Che aspettano
solo che qualcuno le racconti, per non morire. Come
è accaduto oggi su questa pagina.
di Mimmo TARDIO
per il Quotidiano di Puglia - Brindisi di domenica 10
Settembre 2023
(articolo gentilmente offerto
dall'Autore)
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