LE VICENDE DEL
CANALE D'INGRESSO AL PORTO INTERNO (detto Canale Pigonati)
L’insana abitudine
di valorizzare ed encomiare oltre il necessario l’operato
e le figure forestiere, trascurando volutamente le professionalità
locali, è una particolarità che appartiene
da sempre al popolo brindisino. Un eloquente esempio
che viene dal passato è rappresentato dall’intitolazione
del canale di ingresso al porto interno - e di una via
- all’ingegner Andrea Pigonati,
ideatore ed esecutore dell’inadeguato progetto
di bonifica del porto, anziché a colui che pose
rimedio all’errore, ovvero il vulcanologo brindisino
Teodoro Monticelli.
In realtà non esiste un atto ufficiale dell'intitolazione
del canale all'ingegnere siracusano.
Il Canale d'ingresso al porto
interno, detto Pigonati
Nel 1775 durante
il regno borbonico la città era un “oscuro
villaggio” popolato da sole 6.406 misere anime.
Il porto era ridotto ad una palude malarica per l'ostruzione
del canale di collegamento tra il bacino esterno con
quello interno dovuta all’azione bellica di Giulio
Cesare durante la guerra contro Pompeo
nel 49 a.C. (scheda)
e ripetuta da Giovanni Antonio Orsini Del Balzo
nel 1446 con l’affondamento di “tartane
cariche di zavorre” per evitare l’ingresso
ai veneziani.
Per volere del re Ferdinando IV furono
presi dei provvedimenti per il miglioramento delle condizioni
di vita nella città: i lavori di bonifica e per
la riapertura del porto, progettati e diretti dal tenente
colonnello del Genio dell'esercito del Regno Andrea
Pigonati affiancato dal matematico Vito
Caravelli, ebbero inizio il 4 marzo del 1776.
Per lo scavo furono impiegati circa duecento forzati
fatti venire appositamente da Napoli ed alloggiati presso
l’ex chiesa e convento dei Gesuiti, situata all’epoca
sulla salita di via San Dionisio. Per i lavori meno
gravosi fu utilizzata parte della popolazione locale
e dei paesi limitrofi reclutati con appositi bandi,
tra loro molte donne di famiglie particolarmente indigenti,
impegnate a colmare le paludi che si estendevano oltre
le mura di Porta Lecce.
Le forti critiche sulla qualità delle opere non
fermarono gli interventi, tanto che il 23 maggio 1777
una prima nave con un carico di pelli conciate attraversò
il canale per ormeggiare nel porto interno. Il 30 dicembre
del 1778, dopo due anni, nove mesi e ventidue giorni,
i lavori si dichiararono conclusi. Alle sponde murarie
così realizzate si fiancheggiavano “due
pennelli sporgenti nel porto esterno in prolungazione
dei due moli che fiancheggiavano il canale” intitolati
ai sovrani. Solenni festeggiamenti furono organizzati
per l’evento, con balli, canti e scoppio di mortaretti
al canto di “viva il re”.
Ma l’evidente errore di calcolo commesso dell’ingegnere
nel progettare l’imbocco del porto, orientandolo
a greco-levante proprio a direzione delle correnti marine
predominanti, causò nel giro di pochi anni il
progressivo intasamento dell’apertura e la conseguente
ricomparsa delle malattie malariche. “Se egli
avesse interrogato i marini ed i pescatori locali
– scrive nel suo libro l’esperto
Ferrando Ascoli (1886) – ed avesse
considerato con quale impeto i grossi marosi entravano
direttamente nel porto esterno […] certo
non avrebbe tardato a persuadersi che le alghe […]
avrebbero fra non molto ricolmato il canale, indebolite
le banchine laterali, riprodotte le paludi”.
Litografia del Canale aperto
da Andrea Pigonati
Gli ulteriori lavori,
affidati dal re nel 1789 agli ingegneri Carlo
Pollio e Carlo Forte e protratti
per ben nove anni, non sortirono gli effetti sperati:
le sponde del canale d’ingresso al porto, non
correttamente contenute, franarono occludendo in buona
parte del passaggio e l’ingresso dei bastimenti.
Di tutti gli interventi di risanamento effettuati in
quegli anni l’opera più utile fu certamente
l’apertura della via Carolina, oggi Corso Garibaldi,
conseguente l’eliminazione del canale della Mena
(scheda).
Nel trentennio successivo
la città continuò nel suo decadimento,
tanto che nel 1829 fu ipotizzato addirittura il possibile
abbandono della città, ormai resa invivibile,
il restringimento del perimetro portuale con il riempimento
dei bacini interni poco profondi e la piantumazione
di salici “per impedire la fermentazione del suolo
intorno alla banchine da costruirsi”; l’ispettore
regio Giuliano De Fazio chiese perfino
il trasferimento dei fondi destinati ai possibili lavori
di sistemazione urbana a favore del rifacimento del
porto di Gallipoli. Solo il determinato intervento di
Teodoro Monticelli(scheda
biografica), fondatore di importanti istituzioni
scientifiche e figura di grande influenza alla corte
del Regno di Napoli, riuscì ad evitare l’irrazionale
provvedimento ed anche il pericoloso isolamento della
città, esclusa dai nuovi collegamenti stradali.
Sotto la regia dell’abate brindisino furono pubblicate
ed inviate al re ben sette memorie, le più importanti
a firma del nipote Giovanni Monticelli
e dell’illustre geografo e cartografo Benedetto
Marzolla(scheda
biografica), che riuscirono a dimostrare
con validissimi argomenti non solo la necessità
e la convenienza della restaurazione del porto brindisino,
ma anche l’opportunità di far passare la
consolare borbonica (l’attuale S.S.16) da Brindisi,
tesi sostenute successivamente da altri importanti autori.
Non fu per nulla semplice riuscire a contrastare il
“partito anti-brindisino” composto non solo
dai responsabili del Corpo del Genio ma anche dal ministro
dell’interno e da alcuni deputati ed ecclesiastici
ostunesi. Le forti divergenze portarono perfino alla
sfida a duello tra il barone Francesco Antonio
Monticelli, nipote di Teodoro, e il De Fazio
durante un acceso diverbio avvenuto in via Chiaia, nella
capitale partenopea, che costò la destituzione
dell’ispettore per volere del sovrano.
Solo la forte determinazione della borghesia imprenditoriale
locale e la strategia del Monticelli, che poneva il
tema Brindisi come questione d’interesse nazionale,
permise alla consulta generale del regno di riconoscere
fondate le motivazioni sull’importanza strategica
del porto nel commercio marittimo per l’intero
regno, così furono stanziate ingenti somme per
gli interventi di sistemazione, opere completate solo
dopo l’unità d’Italia.
Oggi, a quasi due secoli di distanza, una figura illuminante
come quella del Monticelli risulterebbe quanto mai necessaria
a risollevare le sorti di questa città.
Giovanni
Membola Il testo è stato pubblicato
sul mensile Tutto Brindisi n. 39 (marzo
2012)
Riferimenti
bibliografici: - Ferrando Ascoli. La Storia di Brindisi,
Rimini 1886
- P. Cagnes, N. Scalese. Cronaca dei Sindaci
di Brindisi - 1529, 1787 - F.A. Cafiero. La città di Brindisi
all'apertura del Canale Pigonati. 1969