LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
LA
"TORRETTA DELLA FERRATA" E LE PRIGIONI SOTTERRANEE
DEL CASTELLO SVEVO
Al fine di
salvaguardare la pace e la sicurezza sociale, la società
organizzata stabilì di isolare dalla comunità
gli individui che violavano l’ordine costituito,
privandoli delle libertà e rinchiudendoli in
appositi luoghi, definiti carceri o penitenziari. Veniva
destinato a prigione un qualsiasi locale dal quale fosse
impossibile fuggire, solitamente si sceglieva per tale
scopo un ambiente buio e angusto dove le condizioni
di vita erano particolarmente dure, in conformità
al carattere essenzialmente punitivo del luogo.
Brindisi. Il Castello Svevo quando
era adibito a Bagno Penale
Nel Medioevo e ancora
nel Rinascimento vennero usati come carceri diverse
strutture fortificate, come le torri, le fortezze e
i castelli, poiché “offrivano le necessarie
garanzie di sicurezza ed erano, inoltre, le sedi deputate
a rappresentare il potere nella sua più ampia
accezione del termine”. Anche nel cosiddetto
Castello Grande di Brindisi, realizzato
da Federico II di Svevia nel 1227 su
un presistente impianto difensivo normanno, alcuni ambienti
furono destinati alla reclusione dei detenuti. Non si
ha certezza sull’esatta ubicazione di questi luoghi,
ma le ipotesi più accreditate indicano che l’inespugnabile
e tetra collocazione delle prigioni era nei locali sotterranei
del maniero, un luogo sicuro e per nulla interferente
con le normali attività militari e non del fortilizio.
Queste segrete, come ricordano le cronache di epoca
angioina, erano ritenute particolarmente sicure tanto
che qui venivano trasferiti i prigionieri più
pericolosi: per questo genere di reclusi si faceva ricorso
ai “ferri”, ovvero all’uso dei metodi
di costrizione come anelli, catene e ceppi, in maniera
da limitarne i movimenti per impedirne la fuga e proteggere
il personale di sorveglianza. L’utilizzo degli
strumenti coercitivi rimase in uso almeno sino al 1601,
come documentato su un inventario notarile dell’epoca,
dove si riporta la presenza di questi attrezzi nei magazzini
del castello brindisino. Durante il dominio di Carlo
I d’Angiò, nel carcere brindisino
erano detenuti, oltre ad assassini, disertori e mal
pagatori, anche molti personaggi accusati di essere
filo svevi e quindi considerati ribelli. Proprio uno
di essi, Gervasium de Matina, già
signore del casale di Tuglie, è stato il primo
detenuto di cui i documenti danno notizia: arrestato
il 17 novembre del 1268 a Otranto, fu imprigionato nel
castello di Brindisi dove, per ordine del re, fu torturato
e poi impiccato.
Il Castello Svodo di Brindisi.
La freccia indica la "torretta della ferrata"
Anche nel periodo
di sovranità aragonese, quando il castello subì
una importante trasformazione strutturale (1480), venne
mantenuto - e forse ampliato - lo spazio destinato alla
prigionia. Ferdinando d’Aragona
infatti volle estendere la struttura con la costruzione
del possente antemurale a circondare la parte a terra
del castello, conservando il nucleo svevo originale.
La nuova cinta muraria, più bassa delle torri
sveve, comprendeva i quattro torrioni circolari che
meglio rispondevano ai canoni di architettura militare
dell'epoca, considerata anche la comparsa delle armi
da fuoco. Nel 1458 il sovrano volle concedere alcuni
privilegi alla città, come la soppressione del
pagamento di una diaria giornaliera per i detenuti,
che all’epoca venivano rinchiusi sia all’interno
del castello che in una prigione cittadina.
La situazione carceraria
durante il viceregno spagnolo (1503 – 1707) è
ampiamente documentata sulle cronache dell’epoca,
dove è più volte riportato con il termine
di “torretta della ferrata”
il locale adibito a prigione, ovvero la cella riservata
ai detenuti poco pericolosi. Qui sono stati reclusi
personaggi illustri come Teodoro Cuggiò
e Salvo Pinnatello (10 aprile 1589)
e i medici Giovanni Maria Moricino
e Marcello Barlà (20 ottobre
1596), obbligati rispettivamente alla pena di 4.000
e 2.000 ducati.
Il Castello grande o Svevo di
Brindisi. Foto degli anni '60. La freccia arancione
indica le costruzioni dei primi dell'800 per adeguarlo
a Bagno Penale, la freccia rossa indica la "torretta
della ferrata".
Secondo quanto illustrato
nell’interessante studio del 2013 a firma del
prof. Francesco Paolo Tarantino
[1], questa
era una camera circolare di 6,5 metri di diametro, con
volta a calotta e munita di finestra, ricavata all’interno
di una delle sette torri presenti nel nucleo originale
del castello. L’individuazione della torre non
è stata semplice, poiché durante il primo
ventennio dell’800 il castello subì “devastanti
manomissioni” per adeguarlo a Bagno
Penale, dove furono rinchiusi i galeotti impegnati
nei lavori di escavazione del porto. In quegli anni
furono creati dei nuovi corpi di fabbrica che chiusero
lo spazio tra le due torri angolari presenti sul lato
a sud, quello che si affaccia sull’attuale ingresso
al castello. Nel 1999 la Marina Militare,
che da oltre un secolo utilizza il castello con particolare
attenzione e grande sensibilità, d’intesa
con la Soprintendenza avviò la demolizione di
queste strutture ottocentesche che erano state adibite
ad alloggio del direttore del Bagno Penale, facendo
emergere le opere murarie originali. Durante i lavori
furono asportati anche gli intonaci dei locali interni
alla torre a sud-est, risalente ad epoca sveva-angioina,
ciò ha permesso di mettere in luce “iscrizioni
profondamente incise o semplicemente graffite sui conci
dei paramenti”, particolarmente numerose
nelle zone vicine alla finestra, dove le migliori condizioni
di luminosità favorivano l’incisione. Tali
importanti scritte rimasero ignorate sino a quando il
prof. Tarantino, esperto studioso di storia e fortificazioni
militari, non le ha ritenute “inequivocabilmente
inerenti a detenuti che avevano soggiornato nel locale,
e quindi da iscriversi al ‘loco carceris’
nella torretta della ferrata”, come indicato
nei documenti dell’epoca. Le incisioni venivano
tracciate dai reclusi a memoria della loro infelice
sorte, utilizzando chiodi o pezzi di legno, molte scritte
sono andate perdute, ma ciò che rimane testimonia
la frequentazione continua del carcere per un periodo
non inferiore a due secoli.
Pianta del Castello Svevo di
Brindisi, la freccia indica la torretta della ferrata
all'interno del nucleo svevo
clicca sull'immagine per ingrandirla
E’molto probabile
che, contestualmente alla cella della torretta, anche
i sotterranei del castello venissero ancora utilizzati
come carceri, poiché solo con l’editto
dell’aprile del 1748 Carlo III di Borbone
impose la chiusura definitiva di tutte le prigioni sotterranee,
oscure e malsane.
In quegli anni venivano differenziati i detenuti sulla
base dei crimini commessi o, più probabilmente,
all’appartenenza ad un determinato ceto sociale,
difatti nella “torretta della ferrata”,
un ambiente decisamente più salubre rispetto
alle segrete, venivano internati personaggi d’alto
rango o comunque colti, considerata la loro capacità
di scrittura in un’epoca in cui l’analfabetismo
era particolarmente diffuso.
Tra tutte le iscrizioni salvate spiccano quella datata
1575, lavorata ad arte con lettere capitali romane (D.LEV.cio),
e quella datata 1649 eseguita dal “clerico”
Donato Domazza, che riporta il termine
spagnolo “calabozo” utilizzato in quel periodo
per indicare proprio le carceri.
Brindisi. Castello Svevo. Iscrizioni
incise nel 1575 sulle pareti della torre della ferrata
[1]
Brindisi. Castello Svevo. Iscrizioni
incise sulle pareti della torre della ferrata datata
1649 a firma di Donato Domazza [1]
Certamente una auspicabile
campagna di indagini indirizzata all’individuazione
dei sotterranei del castello svevo, aiuterebbe a far
riaffiorare i cunicoli e le gallerie che nell’antichità
ospitavano i prigionieri, come recentemente avvenuto
al castello Carlo V di Lecce.
Testo di Giovanni
Membola per Il 7 Magazine (n. 67 del 5 ottobre 2018)
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Bibliografia
-
Francesco Paolo Tarantino. Le carceri del
castello grande di Brindisi, in La
Biibbia di Manfredi. Gli svevi tornano al castello.
Atti del convegno (Brindisi 10-11 maggio 2013)
- Maria Ventricelli. Il bagno penale,
in Il castello, la Marina, la città,
catalogo della mostra documentaria (Brindisi
1998)
- Francesco Paolo Tarantino.
Distrutta la torre magistra, in La
Gazzetta del Mezzogiorno, 20 giugno 1999
- P. Cagnes e N. Scalese. Cronaca dei Sindaci
di Brindisi, a cura di Rosario Jurlaro.
1978
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del 1890 vista dallo scrittore francese Paul Bourget
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