LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
LE
CARCERI DELLA CITTA'
Il carcere giudiziario
di via Appia fu consegnato dal Genio Civile, titolare
del progetto, al direttore della casa circondariale
Pietro Motolese il 12 agosto del 1937.
La realizzazione seguì le indicazioni introdotte
nel nuovo "Regolamento per gli Istituti di prevenzione
e di pena", approvato nel 1931 come fedele traduzione
dell'ideologia fascista nel settore penitenziario, rimasto
in vigore sino al 1975. I nuovi criteri prevedevano
tra l’altro la suddivisione dei detenuti in diverse
categorie e reparti, come anche l’isolamento continuo
di chi era in attesa di giudizio e l’obbligo di
lavoro diurno per i già condannati. L’istituto,
progettato per poter contenere complessivamente duecento
detenuti, doveva essere realizzato in una zona isolata
dal centro abitato, circondata da un’area di rispetto
larga 30 metri ove non potevano sorgere abitazioni con
un’altezza superiore ai due piani per evitare
di guardare all’interno del cortile del carcere.
Il carcere di via Appia nel
1937
Il 31 agosto del 1937 furono trasferiti
nella parte già costruita i detenuti dal vecchio
carcere annesso alle Scuole Pie, ritenuto
inadeguato per i locali troppo umidi e privi di aria.
Difatti buona parte del pianterreno dell’ex collegio
degli scolopi, su via Giovanni Tarantini, dopo la metà
dell’800 ebbe funzioni di carcere mandamentale.
La presenza delle grate ad alcune finestre del piano
terra, ancora visibili sino a qualche anno fa, ricordava
ai passanti il triste utilizzo del complesso, citato
dai più anziani come “carcere vecchio”.
Nel 1938 furono appaltati ulteriori lavori di completamento
alla struttura di via Appia, opere che dalla fine del
1939 al ‘41 subirono forti rallentamenti per le
difficoltà di approvvigionamento di cemento e
ferro causate dal conflitto mondiale in atto, tanto
da richiedere l’utilizzo di altre strutture per
confinamento degli arrestati. Pertanto nel maggio del
1944 le reverende suore Francescane Missionarie d’Egitto
ricevettero l’ordine di sgombrare la casa dell’asilo
infantile comunale sito in via Vinci, una delle
ultime traverse di via Lata, che si affacciava anche
su via del mare. Esigenze di guerra fecero mutare quel
luogo in carcere giudiziario. Qui venivano reclusi anche
“li zumpisti” catturati dalla Police inglese,
ovvero coloro che saltavano sui camion militari di passaggio
per rubare i sacchi delle provviste o di altro materiale
da rivendere alla “borsa nera”.
Alla fine del conflitto il fabbricato fu dismesso ed
occupato abusivamente da più nuclei famigliari.
Solo negli anni ’70 fu sgomberato e successivamente
demolito per far spazio ad un parcheggio ad oggi non
ancora realizzato. Infatti oggi di quell’edificio,
consacrato da Monsignor Valeri nel gennaio del 1935,
non rimane nulla.
In
precedenza altri stabili furono destinati alla reclusione
dei detenuti nonostante avessero destinazioni d’uso
originarie completamente differenti.
Durante il periodo risorgimentale i vani sui due lati
della Torre dell’Orologio, in
piazza Sedile (foto a lato),
furono utilizzati come carceri distrettuali: negli ambienti
a piano terra sul lato dell’attuale via Rubini
vi erano le carceri femminili, mentre sull’ala
di piazza Sedile vi erano le celle per gli uomini. Le
finestre quadrate “protette da grosse spranghe”
erano comunque basse e permettevano di scorgere i prigionieri
rinchiusi all’interno, che così potevano
anche scambiare qualche parola con i propri famigliari.
Qui vennero rinchiusi molti patrioti cittadini, tra
cui Camillo Monaco di Oria, che nel 1853, già
a domicilio forzato nel capoluogo per aver organizzato
una sommossa, fu accusato di non aver esultato per l’inno
borbonico.
Nelle segrete del Castello
Alfonsino e di Forte a Mare
già dal ‘700 sono stati detenuti molti
condannati per reati politici come i sospetti cospiratori
della politica dei Borboni, e successivamente anche
i “presidiari”, ovvero i reclusi per omicidio.
Questi ultimi andavano vestiti di giallo, senza catene,
ed erano custoditi da una guarnigione di militari alloggiati
con le proprie famiglie all’interno del Forte.
Il Castello Svevo nel 1814 fu trasformato
in bagno penale sotto il regno di Gioacchino
Murat ed utilizzato a tale scopo sino al 1908, quando
dal Ministero di Grazia e Giustizia il maniero passò
alla Marina Militare.
Le cronache raccontano che nel 1835
vi erano reclusi 250 forzati mentre nel 1879 si contavano
più di 800 galeotti, occupati principalmente
nei lavori di escavazione del porto. Le condizioni dei
condannati erano al limite della sopravvivenza, alcuni
morivano per stenti e venivano semplicemente interrati
nel fossato del castello, senza il diritto di una degna
sepoltura.
» Le
testimonionze dell'epoca
Articolo pubblicato
sul freepress mensile Ciclo Style (n.0
- dic. 2009)
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