LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
MANIFESTAZIONE
E TUMULTI DEI DISOCCUPATI E DEI REDUCI DI GUERRA
8 Aprile 1946
Una manifestazione
di reduci di guerra per chiedere lavoro e dignità
trasformata in tumulto popolare con incendi e devastazioni.
E’ ciò che avvenne la mattina di
lunedì 8 aprile 1946, quando fu indetta
una dimostrazione di protesta per sensibilizzare le
autorità locali e nazionali in merito al problema
della disoccupazione che affliggeva in particolare gli
ex combattenti del secondo conflitto mondiale.
Una situazione analoga a quella del primo dopoguerra,
acuita dalla sconfitta militare, tornava a verificarsi
in tutta la nazione: ai tanti disoccupati si aggiunsero
i reduci e i prigionieri di guerra ad aggravare la difficile
situazione sociale (tra il gennaio e l'aprile del 1946
la disoccupazione nella sola industria, già alta,
aumentò di 183 mila unità). Il malcontento
spesso sfociò in azioni violente gravando pesantemente
sull’ordine pubblico. Le proteste dei reduci si
levarono pure contro le donne accusate di occupare "i
posti degli uomini", furono frequenti i casi di
licenziamento del personale femminile per far posto
a superstiti ed ex combattenti.
Palazzo del Governo, in piazza
Dante
A Brindisi la manifestazione
prese via davanti al palazzo della Prefettura,
le cronache raccontano che “ben presto però
la dimostrazione, da ordinata e precisa come voleva
essere, è andata degenerando in chiassata prima
e poi in canea assetata di distruzioni e di vendette,
a causa dell’infiltrarsi – tra i dimostranti
– di facinorosi e delinquenti”. Il
primo bersaglio dell’ira fu il palazzo
della Provincia, con il lancio di pietre furono
rotti i vetri di alcune finestre, qualche facinoroso
riuscì a penetrare nell’edificio e creare
disordine in vari uffici; quindi la massa dei dimostranti,
ormai in preda al furore, da piazza Santa Teresa si
diresse a largo Concordia dove appiccò il fuoco
nei locali che ospitavano l’esattoria,
ovvero il Palazzo De Marzo, distruggendo
il carteggio, i mobili e lo stabile. L’episodio
causò gravi danni, tanto che negli anni successivi
fu necessaria la quasi totale ricostruzione dello stabile
con la perdita dell’interessante balcone rinascimentale
che si affacciava su via Maddalena. Per fortuna si è
salvata la bellissima loggia che ancora oggi prospetta
la piazzetta.
Palazzo De Marzo, sede dell'esattoria
comunale all'epoca di fatti
Palazzo De Marzo, antico balcone
rinascimentale su via Maddalena
Non contenti, i rivoltosi
si recarono ai vicini locali del Tribunale,
all’epoca ospitata all’interno del Palazzo
Granafei Nervegna, dove “hanno compiuto
le stesse gesta, incendiando la sezione della Corte
d’Assise ed il Tribunale stesso”. I
danni sofferti durante la violenta manifestazione causarono
consistenti modifiche architettoniche degli ambienti
interessati.
Palazzo Granafei Nervegna, su
via Duomo, sede del Tribanale all'epoca dei fatti
Palazzo Granafei Nervegna, l'edificio
che ospitava la Corte d'Assise (2016)
Approfittando dell’insufficienza
delle forze dell’ordine, i dimostranti, accecati
dall’odio e dalla miseria, vollero sfogare la
loro rabbia anche nei confronti di privati, scegliendo
due famiglie tra le più rappresentative della
ricchezza e della nobiltà locale: alcuni di loro
si recarono a Palazzo Balsamo dove,
per l’assenza dei componenti della famiglia (il
conte Salvatore con la moglie e il figlio più
piccolo si trovavano a Roma, Federico - il figlio maggiore
- era fuori per impegni lavorativi, mentre i piccoli
Giovanni e Pio erano a scuola dai Salesiani), lo assalirono
“devastandolo completamente ed appiccandovi
il fuoco a tutte le masserizie”. Non fu risparmiato
il pregiato ed antico arredamento, tra cui “la
preziosa scrivania in ebano con intarsi in avorio e
madreperla con lo stemma dei Medici”, bruciato
o scaraventato in strada insieme ai pregevoli vasi di
Capodimonte.
Un altro gruppo di rivoltosi tentò di assaltare
e devastare allo stesso modo la dimora della famiglia
di Teodoro Titi, ma qui i proprietari
erano presenti e in qualche modo riuscirono a limitare
i danni, grazie anche “all’intervento
di un forte nerbo di forza pubblica fatta affluire dai
posti vicini”.
La Loggia del Palazzo Balsamo
La sommossa e le azioni
di insensata violenza provocarono sgomento e indignazione
nell’opinione pubblica locale, molte associazioni
di ex combattenti presero le distanze da quanto accaduto,
gli stessi reduci, due giorni dopo, organizzarono una
“manifestazione simpatica per dimostrare alla
cittadinanza che gli atti vandalici di lunedì
non sono da attribuirsi a loro, ma a quelli irresponsabili
che approfittano di tutte le occasioni per compiere
atti di violenza”.
Le cronache riportano l’immediata azione delle
autorità locali per procurare l’assorbimento
dei reduci disoccupati: riunioni alla Prefettura e all’Ufficio
del Lavoro portarono il pronto assorbimento di un gruppo
di operai presso il Comune e la Provincia e nella aziende
più importanti, oltre alla costituzione di un
fondo di solidarietà destinato alla costruzione
di case popolari.
Nella stessa giornata dell’8 aprile il Prefetto
Cavalieri emise un decreto di dodici punti
dove, tra l’altro, si ordinava alle aziende private
l’immediata riassunzione dei reduci che già
avevano alle proprie dipendenze prima della chiamata
alle armi, ed il licenziamento di personale avventizio
maschile e femminile che non aveva famiglia a carico,
da sostituire con reduci disoccupati.
Anche in altre città
italiane vi furono analoghe manifestazioni di dissenso
che quasi sempre si traducevano in disordini ed atteggiamenti
intolleranti le leggi: già l’11 marzo a
Palermo disoccupati e reduci di guerra tentarono di
assaltare la Prefettura, la polizia aprì il fuoco
uccidendo due dimostranti ed una trentina di persone
rimasero ferite negli scontri.
Considerato il ripetersi di questi episodi di violenza,
il ministro dell’Interno Romita
decise di impartire disposizioni ai prefetti al fine
di evitare altre distruzioni del patrimonio nazionale
ad opera di facinorosi, invocando azioni pronte, risolute
ed energiche per stroncare qualsiasi tentativo del genere,
utilizzando ogni mezzo ritenuto necessario.
Testo di Giovanni
Membola
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Bibliografia:
» La Freccia, settimanale
del Partito Democratico del Lavoro, 11 aprile 1946,
anno 2° numero 14
» Nadia Cavalera, I Palazzi di Brindisi.1986
» Giacomo Carito, Brindisi Nuova Guida.
1993 |
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Documenti
correlati
» Palazzo
Granafei Nervegna
» Palazzo
De Marzo
» Palazzo
Titi
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