Brindisini illustri - GLI ARCHEOLOGI BRINDISINI
La nascita del Museo Archeologico
Provinciale”Francesco Ribezzo”
Nel 1762, mentre si eseguivano lavori di
scavo in largo S. Paolo a Brindisi, fu rinvenuta in ottimo stato di
conservazione una bellissima statua di marmo bianco raffigurante Ercole
giovane, che aveva nella mano destra i pomi d'oro delle Esperidi (con
riferimento alla penultima delle sue dodici fatiche); nell'altra mano
stringeva un arco spezzato, mentre la pelle del leone Nemeo (prima
delle sue fatiche) pendeva dal braccio sinistro. Ma già prima del
Settecento "sul luogo del Monastero di S. Paolo apparivano vestigia di
muraglie e rocche dei tempi romani e messapici", come scrisse G. B.
Moricino, uno dei maggiori storici locali. Avendo il re Ferdinando IV
destinato l'elegante scultura al Regio Museo di Napoli, si decise di
farne un ritratto su tela, che fu posto nella Curia dei nobili, poi
Municipio, con un'iscrizione latina dettata da Ortensio De Leo, uomo di
legge oltre che letterato e studioso di storia locale ed ecclesiastica,
nato a San Vito degli Schiavi (ora dei Normanni) nel 1721, e morto nel
1791.
L'iscrizione diceva: "La statua in marmo bianco del protettore Ercole,
padre dell'eroe Brento che diede il nome alla città di Brindisi, venuta
casualmente alla luce il 7 ottobre 1762 nel largo S. Paolo, insieme a
un gran numero di monete d'argento di Augusti e Auguste, per ordine di
Ferdinando IV felicemente regnante fu trasferito a Napoli e collocato
nel Suo Museo. Il decurionato e il popolo di Brindisi, per conservare
il ricordo del monumento pregevolissimo per l'antichità, decisero che
fossero riprodotto su tela, da esporre al pubblico nella sala delle
adunanze".
» Scheda sull'Ercole
Brindisino
Annibale
De Leo
In quel
1762, nel mese di luglio, Annibale De Leo, nipote di Ortensio, che
negli anni successivi avrebbe costituito presso l'Arcivescovado di
Brindisi il primo museo, una ricca raccolta di reperti archeologici, si
era laureato a Napoli in entrambi i diritti, civile e canonico. Nato a
San Vito degli Schiavi il 13 giugno 1739 da Ferdinando e dalla nobile
brindisina Vittoria Massa, visse a Brindisi sin da bambino. Qui studiò
presso gli Scolopi e poi si recò a Napoli per iniziare la carriera
ecclesiastica. Tornato a Brindisi fu prima nominato canonico teologo,
poi arciprete curato della Cattedrale, quindi primicerio e arcidiacono,
vicario capitolare, e infine - dal 1797 al 1814, anno della sua morte -
Arcivescovo di Brindisi. Spirito liberale, dalla mentalità aperta, fu
un grande umanista, appassionato bibliofilo, studioso di manoscritti e
collezionista di "piccole antichità", soprattutto vasi, epigrafi,
statue, e medaglie, che erano in realtà monete antiche.
Il collezionismo si sviluppò in tutta Europa tra il XV e il XVIII
secolo, interessando non solo studiosi e prelati, ma pure principi,
medici, giuristi. L'idea del museo, come luogo della memoria (le Muse,
dee e protettrici delle belle arti, erano figlie di Zeus e Mnemosine,
la memoria), prese forma tra il Rinascimento e l'Illuminismo, e in
principio erano le vestigia dell'antichità romana che si cercavano e si
conservavano. Tutto cominciò nel 1462, quando Papa Pio II pose il veto
al riutilizzo nelle nuove costruzioni dei materiali dei monumenti e
degli edifici antichi, pratica fino ad allora comune. Il 14 gennaio
1507 fu rinvenuto a Roma, vicino a Santa Maria Maggiore, un gruppo
statuario di epoca ellenistica, il Laocoonte, che suscitò l'ammirazione
generale (ora è nei Musei Vaticani). Il granduca di Firenze Francesco I
dei Medici (1541-1587), che collezionava non solo opere d'arte ma
curiosità naturali, esotiche, antiche e storiche, sin dal 1580 riordinò
le sue raccolte nella Galleria degli Uffizi, che esattamente due secoli
dopo fu aperta al pubblico, allorché l'ultima erede dei Medici, la
principessa Anna Maria Ludovica, cedette le collezioni familiari allo
Stato toscano.
In quegli stessi anni, Annibale e Ortensio De Leo raccoglievano e
conservavano i reperti antichi che venivano casualmente alla luce in
città, e che mostravano volentieri agli studiosi di passaggio,
suscitandone l'ammirazione. A parte ciò, Annibale interpretò e
trascrisse le pergamene dell'archivio capitolare che raccolse nel
Codice Diplomatico Brindisino, la sua opera maggiore. Tra il 1775 e il
1783 scrisse una storia antica di Brindisi, pubblicata postuma nel 1846
con il titolo "Dell'Antichissima Città di Brindisi e Suo Celebre
Porto". Non solo studioso ma anche uomo pratico, bonificò le paludi dei
territori di San Pancrazio e San Donaci, che facevano parte della
"mensa" (rendita) arcivescovile.
Nel 1798 ottenne dal re che fosse aperta al pubblico la biblioteca in
cui aveva raccolto manoscritti e libri suoi e dello zio Ortensio, che
negli anni successivi ampliò con i volumi recuperati dai monasteri
soppressi dai Francesi nel 1808; biblioteca a lui intitolata, tuttora
funzionante. L'anno successivo, nel mese di aprile, Brindisi fu
conquistata dai rivoluzionari francesi: gli ufficiali superiori
scelsero di alloggiare nell'Arcivescovado. Nei giorni precedenti
l'Arcivescovo si era premurato di trasferire in luogo sicuro e
inaccessibile il suo ricchissimo museo, perché non divenisse preda dei
vincitori. Ma per nascondere quel gran numero di oggetti, alcuni
ingombranti, aveva dovuto fare assegnamento su numerose persone, alcune
delle quali, se non tutte, si rivelarono inaffidabili. Infatti, quando
i Francesi dopo pochi giorni di permanenza fuggirono precipitosamente
abbandonando perfino le loro provviste di viveri, le collezioni
nascoste non furono più ritrovate: l'alibi degli invasori era servito a
farle trafugare. Si salvarono i reperti che non erano stati nascosti, i
meno pregiati. Nel suo testamento, redatto pochi giorni prima della
morte avvenuta il 10 febbraio 1814, Mons. Annibale dettò tra l'altro:
"voglio che i residui del mio museo (siano) collocati in una stanza del
Seminario e ne (abbiano) cura il bibliotecario e il custode della
libreria, facendone il corrispondente inventario". Un secolo e mezzo
dopo la collezione De Leo sarebbe stata acquisita dal Museo Provinciale.
» Scheda Biografica
Giovanni
Tarantini
L'opera di
Annibale De Leo fu continuata da un altro prelato, Giovanni Tarantini,
nato a Brindisi il 15 novembre 1805 e qui morto il 7 febbraio 1889, al
quale è stato intitolato il tratto di strada, una delle più antiche
della città, in cui la sua famiglia abitava. Canonico teologo della
Cattedrale, docente di discipline teologiche nel nostro Seminario,
studioso di storia locale, archeologo espertissimo, fondò il Museo
civico presso la Chiesa di San Giovanni al Sepolcro, dove raccolse e
studiò l'abbondante materiale archeologico che nell'Ottocento si
recuperava a Brindisi in occasione di scavi, per lo più occasionali.
Rimasto fedele ai Borboni, dopo il 1860 fu confinato per qualche anno a
Torre S. Susanna per la propaganda antiliberale che svolgeva con le sue
prediche. Fu Mons. Tarantini a rinvenire i ruderi di antiche terme
romane nella zona di S. Apollinare; un pavimento musivo a tasselli
bianchi e neri in piazza S. Teresa (1876); tombe con lastre di un
selciato stradale di età romana in piazza Sedile (1877); iscrizioni
funerarie di età romana nelle adiacenze di porta Lecce (1880); molti
scheletri con il cranio ricoperto da un embrice in via Duomo (1881); un
deposito di anfore romane in via de Leo, di fronte all'attuale palazzo
della Provincia (1881); un'epigrafe funeraria in via Lata (1881); resti
di abitazioni con pavimenti musivi in San Pietro degli Schiavoni
(1883); un'epigrafe funeraria latina nei pressi della fontana Tancredi,
e altre nella contrada, ora rione, Paradiso (1883); un sepolcro con
iscrizione messapica in via Belvedere (1884); un pavimento musivo in
via Carmine (1884).
Poco prima di morire fornì al Mommsen - per il suo monumentale Corpus
Inscriptionum Latinarum - un'ampia raccolta delle epigrafi latine da
lui rinvenute. Merita di essere ricordata quella dettata da un saggio e
benevolo mercante-navigante brindisino, che in punto di morte ha voluto
riaffermare l'importanza della Fede per superare tutte le difficoltà,
un insegnamento di grande valore umano e religioso; la stele funeraria
risale probabilmente alla fine del I secolo, ed è ora nel Museo
Provinciale.
Comincia così: "Si non molestum est hospes consiste et lege …"
Passante, se non ti dispiace, fermati e leggi. Ho attraversato spesso
l'oceano su navi a vela e mi sono recato in molti Paesi, ma qui, in
questo sepolcro, è la mia ultima meta, che il destino mi presagì il
giorno in cui nacqui. Qui ho lasciato tutti i miei affanni e le mie
sofferenze; non ho più paura del mare tempestoso; né temo che i miei
guadagni non siano sufficienti a farmi vivere. Ti ringrazio Fede -
santissima dea - perché mi desti forza quando la fortuna non mi
sorreggeva; meriti davvero di essere desiderata ardentemente da ogni
uomo. Passante, ti auguro di vivere a lungo e in buona salute, e che
non ti manchi mai il necessario, visto che hai voluto fermarti davanti
a questa pietra e l'hai ritenuta meritevole di essere letta fino in
fondo.
» Scheda Biografica
Pasquale
Camassa
Alla morte di Mons. Tarantini del Museo civico ebbe cura il canonico
Pasquale Camassa. Nato a Brindisi il 24 dicembre 1858, morì a Mesagne
il 10 dicembre 1941, dopo che la sua casa di via Lauro a Brindisi,
posta di fronte alla Chiesa di S. Giovanni, era stata distrutta da un
bombardamento aereo nella notte tra il 7 e l'8 novembre 1941. Fu
divulgatore efficacissimo della storia della città che raccontava a
tutti coloro che accettavano di ascoltarlo, prendendo spunto proprio
dagli scavi e dai monumenti; dalle monete, sculture, vasi, epigrafi e
terrecotte. È questa la "documentazione" di cui in prevalenza si è
servito per scrivere "La Romanità di Brindisi Attraverso la Sua Storia
e i Suoi Avanzi Monumentali", stampata nel 1934. Notizie storiche sulla
città sono anche nelle "Guide di Brindisi", che pubblicò nel 1897 e nel
1910. Per diffondere tra il popolo l'amore per Brindisi, fondò nel 1921
la "Brigata degli Amatori della Storia e dell'Arte": le riunioni,
aperte a tutti, si svolgevano nel Museo civico (del quale era stato
nominato direttore onorario) ogni giovedì sera. Come scriveva nella sua
"Romanità di Brindisi", i musei devono rappresentare scuole aperte di
vita, dove a tutti sia consentito di apprendere … poiché la cultura,
come il sole, deve far sentire a tutti i benefici effetti della sua
luce e del suo calore.
» Scheda Biografica
Francesco Ribezzo
Già nel
1934, appena sette anni dopo la sua istituzione, l'Amministrazione
Provinciale (il Presidente era il dott. Giuseppe Simone) propose di
costruire il Museo e la Biblioteca provinciale proprio nelle adiacenze
del Museo Civico, espropriando le vecchie abitazioni che circondavano
la Chiesa di San Giovanni. La proposta, che aveva trovato d'accordo il
Soprintendente alle Opere di Antichità e d'Arte della Puglia Renato
Bartoccini, richiedeva però tempi lunghi e fu accantonata per lo
scoppio della guerra. Fu il sen. Antonio Perrino, Presidente della
Provincia dal 1948 al 1961, grande realizzatore, a far costruire - là
dov'erano ancora i ruderi del vecchio Ospedale Civile, in piazza Duomo
- il Museo Archeologico Provinciale (su progetto dell'ing. Antonio
Cafiero, noto cultore di storia locale), che fu aperto ufficialmente
con cinque sale nel 1954, ad opera non ancora ultimata. Nel 1956 vi fu
trasferita l'intera collezione civica. Il Museo fu intitolato a
Francesco Ribezzo, glottologo e archeologo di fama internazionale,
professore emerito delle Università italiane, studioso non solo della
lingua messapica e della preistoria e protostoria pugliese, ma
dell'etrusco e di molte altre lingue antiche e dialetti, morto due anni
prima a Lecce, durante lo svolgimento del II Congresso storico pugliese.
Nato a Francavilla Fontana l'8 maggio 1875, Ribezzo conseguì la licenza
liceale con diploma d'onore a Lecce nel 1895. Si laureò a Napoli
quattro anni dopo con la tesi pubblicata nel 1901 "Nuovi studi
sull'origine e la propagazione delle favole indoelleniche comunemente
dette esopiche". Iniziò la carriera d'insegnante presso il
liceo-ginnasio "Vittorio Emanuele II" di Napoli. Vincitore di una borsa
di studio di perfezionamento si recò nel 1904 a Firenze e nel 1905 e
1906 a Lipsia, dove frequentò i corsi dei maggiori linguisti
dell'epoca. Tornato in Italia, riprese l'insegnamento nelle scuole
medie a Benevento, Palermo, Cagliari e Napoli. Nel 1914 ebbe l'incarico
di insegnare all'Università di Napoli "Storia comparata delle lingue
classiche e neolatine", che tenne per un quinquennio fino alla
partecipazione al concorso di glottologia che lo portò a insegnare alle
Università di Messina (1921) e di Palermo (1925-1948). Sposatosi a Roma
con la tedesca Maddalena Gebler il 5 giugno 1948, morì improvvisamente
a Lecce il 29 ottobre 1952. La sua immensa produzione scientifica
(centinaia tra libri, saggi, articoli, recensioni) comprende la
fondazione e la direzione dal 1916 al 1937 della "Rivista
Indo-Greco-Italica". La sua opera "La lingua degli antichi Messapii" è
del 1907, anno in cui cominciò la raccolta del Corpus Inscriptionum
Messapicarum, che vide la luce a puntate dal 1922 al 1937. Alla sua
morte, fu commemorato non solo in Italia (tra gli altri,
dall'archeologo Massimo Pallottino nel 1954, e dal filologo Ettore
Paratore nel 1961), ma anche in Belgio (Lovanio), Brasile (San Paolo),
Parigi e Vienna.
Gabriele Marzano
Un altro
padre ha il Museo Archeologico Provinciale: l'avvocato Gabriele
Marzano, l'illustre archeologo nato a Monteroni il 1° marzo 1894 e
residente dopo il matrimonio a San Pietro Vernotico. A lui si deve in
particolare lo studio dell'antica Valesio, che si trovava in un fondo
di sua proprietà, dove portò alla luce un notevole impianto termale di
età romana. Aperto il Museo Provinciale, di cui era stato uno dei
fautori, ebbe subito l'incarico di direttore onorario, che tenne sino
alla morte avvenuta nel maggio 1980. Alle cinque sale inaugurate nel
1954, si aggiunse sei anni dopo la sala Valesio che l'avv. Marzano
arricchì con molti pezzi della sua collezione privata, iniziata nel
1925. Nel 1964 fondò la collana dei quaderni del Museo provinciale
"Ricerche e Studi", sui quali scrissero archeologi e linguisti di fama.
Dal 1984 una missione olandese della Libera Università di Amsterdam ha
effettuato scavi più sistematici nell'area di Valesio, che hanno
contribuito a delinearne i confini, con la collaborazione attiva
dell'Università di Lecce e del nostro Museo Archeologico Provinciale.
Testo di
Roberto Piliego
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