LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
LA PREMIATA FABBRICA
DI BOTTI DEI FRATELLI CAFIERO
Trent’anni di successi per la Premiata Ditta che
dava lavoro ad oltre cinquanta artigiani
Realizzare botti è
una vera e propria arte. È il caso di parlarne
al passato, visto che questo straordinario mestiere
è stato definitivamente condannato alla scomparsa
per ilprogresso tecnologico e lo sviluppo industriale.
L’artigiano di una volta partiva da pezzi di legno
inanimati, un materiale naturale, nobile e duttile,
per costruire eccezionali recipienti necessari non solo
per il trasporto e per il contenimento del “nettare
degli dei”, ma anche a dare al vino il gusto e
un profumo particolare.
Tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni
del Novecento a Brindisi erano in attività numerosi
opifici ed industrie enologiche dediti alla produzione
di vino, collocati principalmente su via Appia, via
Osanna, via Cappuccini e via Provinciale per San Vito,
una delle più importanti era la Premiata
Fabbrica di Botti Fratelli Cafiero, situata
sul lato destro di via Osanna procedendo verso il passaggio
a livello, subito dopo aver superato l’ex pesa
pubblica. Era preceduta sullo stesso lato dallo stabilimento
vinicolo di Vincenzo Guadalupi, di
entrambi gli stabili oggi non è rimasto nulla.
Il gruppo di lavoratori della
Premiata Fabbrica di Botti Fratelli Cafiero (clicca
sull'immagine per ingrandirla)
L’azienda venne
fondata verso la fine del 1880 dai cinque fratelli Cafiero
e si sviluppava su una superficie molto ampia, ovvero
su un’area di oltre 2.200 metri quadrati tutti
di proprietà: lo stabilimento comprendeva tre
grandi capannoni coperti, che occupavano circa duecento
metri quadri cadauno, alcuni uffici, mentre il restante
spazio scoperto veniva utilizzato per i lavori all’aperto
e come deposito di legname. Il nome della ditta era
impresso a grandi caratteri sul prospetto principale
dello stabile.
Era una impresa davvero grandiosa per quei tempi, riusciva
a dare lavoro ad oltre una cinquantina di operai, due
ragionieri ed alcuni impiegati, un numero davvero importanti
considerato che Brindisi in quegli anni contava poco
più di ventitremila abitanti. Una bellissima
foto dei primi del Novecento, di proprietà della
famiglia di Antonio Cafiero, ritrae
il folto gruppo di lavoratori in posa insieme ai proprietari
davanti alla fabbrica, una riproduzione fotografica
che lascia percepire quale fosse il clima di benessere
e di armonia tra i lavoratori, così come confermato
dalle diverse narrazioni orali tramandate nei decenni
successivi e conservatenella memoria popolare.
Dall’interessante ricerca svolta e pubblicata
nel 1997 da Giuseppe M. Catanzaro,
autore di importanti testi sul contesto storico e sociale
dell’ultimo secolo, si evince l’importanza
per l’economia brindisina di questo importantissimo
laboratorio artigianale: per circa trent’anni
l’attività manifatturiera funzionò
a pieno ritmo grazie alle richieste di fornitura di
botti, barili, mastelli, tini e di altri recipienti
di varie forme e dimensioni che pervenivano ai Cafiero
in maniera continuativa non solo dai commercianti e
vinai di Brindisi e dei comuni limitrofi, ma anche da
diverse località pugliesi e da altre città
italiane, in particolare da Venezia e Trieste, e persino
dalla Grecia, dove poi venivano esportati via mare.
Un successo scaturito certamente dalla qualità
dei prodotti realizzati, dall’ottimo legno impiegato
nelle lavorazioni e dall’abilità artigianale
dei falegnami brindisini che sapevano creare le doghe
in legno tornendole secondo le varie necessità.
Questi bravissimi artigiani, veri e propri artisti del
legno, si distinguevano per l’enorme volontà
ma soprattutto perché erano capaci di dare anima
a quell’elemento che tanto amavano e conoscevano,
padroni delle tecniche e dei segreti - tramandati per
generazioni - su come curvare il legname. Si utilizzava
il legno di cerro o di rovere per costruire le botti
che dovevano contenere alcol e cognac, mentre per le
botti destinate al vino si adoperava quasi esclusivamente
il legno di castagno.
Botti in attesa dell'imbarco
sui velieri sul lungomare di Brindisi
Nei periodi di maggiore
lavorazione, in special modo nei mesi estivi quando
si avvicinava la stagione della vendemmia e della vinificazione,
si riusciva a costruire anche trenta botti di piccole
e medie dimensioni al giorno, di forma rotonda o ovale,
mentre erano una dozzina le botti di capacità
pari o superiore ai 150 ettolitri realizzate nell’arco
di un mese.
In queste fasi venivano reclutati altri lavoratori stagionali,
personale specializzato proveniente anche da Gallipoli
e dalla provincia barese. Le botti di grandi dimensioni,
ricorda ancora il prof. Giuseppe Catanzaro, dopo il
loro collaudo venivano smontate, affastellate separatamente
e spedite con la ferrovia alle varie destinazioni. Le
doghe già numerate venivano poi montate sul posto
dal personale della Premiata Ditta che si recava espressamente
sul luogo, sotto l’attenta direzione di Bernardo
Cafiero. Quest’ultimo era il maggiore
dei cinque fratelli, aveva appreso il mestiere dal nonno
materno e si era perfezionato sotto la guida di maestranze
francesi giunte appositamente a Brindisi su invito dell’industriale
Gaston Giran, in occasione della distruzione
dei vigneti transalpini causata dalla fillossera.
Bernardo fu anche l’unico dei fratelli a continuare
l’attivitàdi bottaio dopo il fallimento
della Premiata Ditta avvenuto verso la fine del 1910:
i dissesti finanziari, la mancata oculatezza ed altre
concomitanti condizioni sfavorevoli portarono la società
a chiudere i battenti dopo circa tre decenni di intensa
attività lavorativa.
La metà dei locali furono poi venduti per far
fronte ai creditori, la restante parte fu divisa tra
i tre fratelli ancora in vita (uno era deceduto poco
dopo la costituzione della società, un altro
morì durante il tragico fallimento).
Coadiuvato dal figlio e da una decina di affezionati
lavoratori, Bernardo riuscì comunque a continuare
la produzione di botti per diversi anni nel laboratorio
a lui assegnato con la divisione dei beni. La definitiva
cessazione dell’attività avvenne in data
1 gennaio 1952, Antonio Cafiero, erede
del mestiere e dell’immobile, aveva ristrutturato
l’azienda con macchinari ed attrezzature moderne,
ma per i mancati introiti causati dall’insolvenza
di numerosi clienti, e amareggiato dalla triste situazione
che vedeva ormai la presenza sul mercato di contenitori
e di materiali differenti realizzati industrialmente,
si sentì costretto a chiudere la fabbrica per
dedicarsi esclusivamente all’agricoltura.
Botti in attesa dell'imbarco
sui velieri sul lungomare di Brindisi
Il forte calo della
richiesta era stato generato anche dal contestuale sorgere
di ben cinque analoghi stabilimenti nelle immediate
vicinanze: la fabbrica di botti di Domenico
De Benedetto, aperta nel 1918, era proprio
a pochi passi da quella di Cafiero, ovvero agli inizi
di via Cappuccini ad angolo con via Adamello, poi c’era
quella di Giuseppe Saponaro e figli
situata alla fine di via Lucio Strabone, mentre su via
Appia c’erano quelle di Raffaele Di Giulio
e fratelli (ad angolo con via Tor Pisana), di Francesco
Piliego (ad angolo con via de Carpentieri)
e di Cosimo Perrone (di fronte a via
Lucio Strabone). Esisteva inoltre la fabbrica di Luigi
Cioffi, sempre su via Appia nei pressi dello
stabilimento vinicolo Silvestrini,
che aveva di fronte le distillerie Poli
(dove era il cinema Eden) e Casalini.
Il fabbricato di Antonio Cafiero fu acquisito dai fratelli
Panunzio ed utilizzato per l’ampliamento
del pastificio già attivo dal dicembre 1936 nei
locali adiacenti, proprio dov’era lo stabilimento
vinicolo dei Guadalupi.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.132 del 24/1/2020
Bibliografia principale:
- QUI…dove la terra finisce
e il mare comincia: memoria e immagine dell’impresa
a cura di: AIPAI - Associazione Italiana per il Patrimonio
Archeologico Industriale, Archivio di Stato di Brindisi,
CNR – IBAM- Consiglio Nazionale delle Ricerche
– Istituto per i beni archeologici e monumentali,
Crace.
Catalogo della mostra (Brindisi, 2011)
- Giuseppe M.Catanzaro. Il quartiere
Cappuccini di Brindisi. 1997
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